Che il teatro d’opera si ponga l’obiettivo di rappresentare storie più o meno reali, questo è un dato di fatto. E se nel palcoscenico trovano spazio scene di vita quotidiana, vicende storiche e relazioni sociali, anche (e soprattutto!) le emozioni trovano il loro compiersi, in tutte le sfaccettature possibili.
Di queste sfaccettature prende parte il tema della pazzia, della follia, dei visionari, dei pazzi furiosi… chiamatela come volete ma nell’opera i soggetti con una certa instabilità psicologica sono frequenti, indipendentemente se per davvero o per simulazione.
Le scene di pazzia, di norma, rappresentano il culmine di una serie di avvenimenti, spesso ai danni di un personaggio femminile, che portano il personaggio interessato ad impazzire, a volte con tragiche conseguenze.
La pazzia in sé è talmente legata a qualcosa di paradossale che pure paradossali sono gli avvenimenti che girano intorno alla vicenda.
E’ il caso della bella Elvira de I puritani (1835) di Vincenzo Bellini: abbandonata sull’altare a causa di un malinteso, sragiona completamente fino a quando l’udire della condanna a morte dell’amato Arturo la fa tornare in sé e non solo rinsavisce, ma grazie a una clemenza last minute, si congiunge con il fidanzato.