Mentre vi ringrazio del bel lavoro fattomi, mi permetto offrirvi come attestato di stima, questo modesto orologio. Aggraditelo di cuore, come io di cuore ve lo offro. Vi ricordi il mio nome, ed il valore del tempo”.

 

Scriveva così Giuseppe Verdi ad Arrigo Boito (letterato e musicista) nel 1862 in segno di riconoscenza. Infatti, Verdi ricevette la commissione di musicare una cantata profana, su testo di Arrigo Boito, in occasione dell’Esposizione Universale di Londra di quell’anno. Nacque l’Inno delle Nazioni, opera poco conosciuta ma certo non priva di validi spunti musicali derivanti anche dallo stimolante testo di Boito. Verdi fu soddisfatto di questa nuova collaborazione.

Ma poco dopo nacque un’incomprensione che incrinò il rapporto tra i due: Boito era allora un ventenne e, come tutti i giovani, venne fortemente attratto dalle novità culturali tra le quali la cosiddetta Scapigliatura, movimento artistico letterario che ebbe come epicentro Milano i cui seguaci erano animati da sentimenti di ribellione verso la cultura tradizionale e la mentalità borghese. Boito si infervorò contro gli intellettuali di derivazione “risorgimentale” scrivendo un’ode intitolata “Alla salute dell’Arte Italiana” nella quale Verdi si era sentito offeso per un riferimento che ritenne rivolto alla sua musica. Egli ebbe la sensazione che la spietata critica fosse rivolta a lui anche se, ad oggi, non ci sono prove che confermino tale eventualità.

Dopo questo episodio la ripresa dei contatti tra Verdi e Boito, dovuta anche alla paziente intermediazione di Giulio Ricordi e dell’astuta moglie di Verdi, Peppina – che aveva intuito il valore artistico di una loro collaborazione – fu lenta e inizialmente quasi esclusivamente per lettera, ma ben presto si tramutò in un’amicizia che trascese l’aspetto lavorativo per tramutarsi in un forte legame affettivo. Fu un sodalizio artistico tra i più produttivi e proficui della storia dell’opera.

La loro “prova generale”? Il rifacimento dell’opera Simon Boccanegra.

 

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