Sabato 17 giugno è andata in scena la seconda recita della produzione di “Aida” all’Arena di Verona proposta in apertura del festival.

Sono previsti quest’anno otto titoli d’opera e quattro eventi speciali per celebrare il centesimo festival, che non poteva aprirsi se non con “Aida”, l’opera regina dell’Arena proposta in tutti i cartelloni dal 1992 e che conta più di settecento recite totali. Quella che vedremo quest’anno non è però la messa in scena che ci si poteva aspettare per celebrare l’anniversario: Stefano Poda ha curato un allestimento che non poteva allontanarsi di più dalla maggior parte delle produzioni di “Aida” proposte fino ad ora, a partire da quella storica di Gianfranco De Bosio.

Dopo la serata inaugurale trasmessa dalla Rai in mondovisione, sabato 17 è andata nuovamente in scena “Aida” con qualche variazione nel cast rispetto alla sera precedente. Già dopo la prima serata, l’allestimento di Poda è stato fortemente criticato, ma a mio parere il lavoro del regista va perlomeno ammirato innanzitutto per l’azzardo di mettere in scena un qualcosa di così astratto e allo stesso tempo denso di significato in un luogo dove, si sa, non c’è mai stato molto spazio per l’innovazione. Diverse produzioni di “Aida” hanno avuto vita breve proprio perché non adeguate ai canoni dell’Arena. Nella regia di Poda poco o quasi nulla richiama l’ambientazione originaria del capolavoro verdiano: a dominare il più grande palcoscenico all’aperto al mondo una mano enorme con tanto di falangi mobili, che durante il corso dell’opera si muovono per chiudere la mano a pugno o per spiegare le dita verso l’alto. Attorno una serie di mani -sempre chiuse o aperte- fissate su dei pali, il tutto montato su un praticabile obliquo. Nei nudi gradoni dell’anfiteatro romano dei resti di quella che pare un’astronave a sinistra e di una colonna corinzia a destra.

Sono in questo allestimento le grandi masse di coristi e comparse a creare la scena: costantemente presenti i figuranti anche quando non previsti, che accerchiano i solisti e li assillano -diventando quasi fastidiosi alla vista- rappresentando forse i vari aspetti della personalità dei protagonisti. Quasi tutto risulta molto astratto e non c’è nulla che guidi lo spettatore verso una determinata interpretazione.

 

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