Un’opera difficile sotto molti aspetti.

Difficile da leggere data la vasta letteratura (sacra e profana) da cui attinge il libretto. Difficile la direzione. Difficile, molto difficile, la messinscena.

Dopo 80 lunghi anni “Thaïs” torna nel Tempio milanese della musica, affidando la partitura alla bacchetta del giovanissimo e geniale Lorenzo Viotti e la regia nelle mani del regista, scrittore e attore francese Olivier Py. Il soggetto è un’intensa vicenda dove Eros e Pistis si intrecciano e si scambiano i ruoli in un gioco che vede, nella grande cortigiana alessandrina Thaïs e nell’imperturbabile asceta Athanaël, pedine antinomiche.

Fanatismo e libertà, paganesimo e cristianesimo, seduzione e costrizione, morte e risurrezione sono alla base di questa complessa architettura melodica e letteraria.

All’epoca della prima di “Thaïs” (1894, poi 1898), Massenet si trovava a metà tra Manon e Cléopâtre, tra Gounod e Wagner. La stesura definitiva della partitura rivela una delicatezza di immagini ed una forza emotiva che sembra inevitabile un rimando alle “Odalische” di Delacroix o al surrealismo de “Le tentazioni di Sant’Antonio” di Salvador Dalì. La palette orchestrale di Massenet coglie al meglio le sfumature esotiche, e quasi esoteriche, del culto pagano di Venere e quelle maestose, di redenzione, del cristianesimo. È un continuo fluire e defluire di atmosfere, di sensazioni sempre nuove e sempre diverse. La voce di  Thaïs appartiene a Marina Rebeka. La sua è una voce calda e suadente nel primo Atto. Si trasforma in un timbro imponente nel secondo mentre nell’ultimo atto mostra tutta la sua forza di donna nuova, purificata.

 

 

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