Di recente ho assistito alla rappresentazione dell’opera “Suor Angelica”, la seconda opera del “Trittico” pucciniano, collocata tra la tragedia del “Tabarro” e la leggerezza della commedia del “Gianni Schicchi”.

Era l’opera preferita di Puccini, e potremmo dire che per trarre la giusta ispirazione egli pensò di sfruttare la condizione che viveva sua sorella Iginia, che era diventata madre superiora del convento delle monache agostiniane della frazione di Vicopelago di Lucca. Grazie alla sorella, a cui era molto legato, Puccini poté apprendere com’era la vita in un convento femminile, che ritrasse con grande realismo nella sua opera.

La sorella monaca aveva, anche lei, una buona istruzione musicale e aderì con gioia alla richiesta del fratello di venire a comporre in convento. Così Puccini conobbe da vicino la vita claustrale, sistemato in una stanza-studio col pianoforte. Dunque, spiava ogni cosa dal vero: le campanelle, i fiori, i bisbigli, le preghiere delle suorine…

 

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