Il Teatro Argentina inaugura il 13 gennaio 1732 con l’opera Berenice, di Domenico Sarro. Ma la sua storia inizia qualche secolo prima. Dobbiamo tornare al 1491 quando il prelato tedesco Johannes Burckardus costruisce, su un terreno avuto in affitto dai monaci di Farfa, un palazzo con una torre. Su questa torre fa scrivere in latino il nome di Strasburgo: Argentoratum, dal quale deriva il nome Argentinensis. Il duca Giuliano Cesarini contesta al prelato Burckardus la proprietà. Alla fine giungono ad un accordo: alla morte del prelato la proprietà sarebbe tornata alla famiglia Cesarini e così accade nel 1506. Il nome Argentinensis rimane e viene utilizzato per la Via, per il Teatro e per il Largo. Possiamo considerare la famiglia Cesarini importante per la storia del Teatro Argentina, soprattutto nella persona del duca Giuseppe Sforza Cesarini. Questi, nel 1731, chiede all’architetto Girolamo Theodoli di costruire un teatro in quella che poi sarà Via di Torre Argentina. Il teatro, costruito internamente di legno mentre le scale ed i muri perimetrali sono in marmo, ha una forma a ferro di cavallo, sei ordini ognuno composto da trentuno palchi mentre in platea si trovano quaranta file. I palchi sono così suddivisi: i primi tre ordini alla nobiltà, che possono ornarli a loro piacimento, il quarto ed il quinto ordine sono della borghesia mentre il sesto ordine e la platea sono destinati al resto della popolazione. Inoltre, la famiglia Cesarini ha a disposizione il palco sedici al secondo ordine. Il palcoscenico è molto profondo e può cambiare le scene grazie a delle ruote che lo muovono. Il lampadario è un grande candelabro formato da sedici bracci. Non è chiaro se l’acustica fosse più o meno buona: dalle testimonianze dell’epoca troviamo sia critiche sia lodi.
Molti i compositori che hanno rappresentato le loro opere all’Argentina: per esempio, Giovanni Paisiello e Domenico Cimarosa. Niccolò Jommelli ne mette in scena sette, una delle quali è Didone abbandonata, libretto di Pietro Metastasio. Nel 1747 il Teatro Argentina diventa protagonista dei festeggiamenti romani delle nozze del Delfino di Francia con la Principessa di Sassonia: questo evento viene rappresentato da Gian Paolo Pannini ed il dipinto conservato al Museo del Louvre di Parigi. Fino al 1755 non subisce interventi strutturali: in quell’anno viene revisionato il palcoscenico mentre nel 1798 nasce il botteghino, cioè un capannone appoggiato alla facciata.