La Serva padrona di Giovan Battista Pergolesi, su libretto di Gennarantonio Federico, nacque come intermezzo comico per l’opera seria Il prigionier superbo che lo stesso Pergolesi musicò per il napoletano Teatro di San Bartolomeo. Il pubblico italiano del XVIII secolo ammetteva che un’opera seria potesse essere noiosa. Per porre rimedio a questo tedio veniva interposta fra un atto e l’altro di quell’opera una commedia in musica che aveva la funzione di rallegrare lo stato d’animo degli spettatori. Da questa routine prese vita un genere nuovo, destinato a rivoluzionare la storia dell’opera lirica. Non era la satira, non era così banale. Era la trasposizione in scena di un’esperienza di vita.

Nelle sue mani Pergolesi impasta e modella dei personaggi ai quali infonde un’anima ed una logica, dà loro il canto, la parola, e li fa agire nello spazio del teatro, trasformandoli in realtà artistiche nelle quali lo spettatore spesso e volentieri si riconosce. Questo è il maggior successo di Pergolesi in questo intermezzo: non sono gli interessi tecnici a prevalere, né le regole compositive o l’affannosa ricerca di novità, è l’immaginazione che prevale, e con essa il canto.

 

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