L’argomento del Devereux viene attinto dalle divulgate storie sugli amori della regina Elisabetta e del conte d’Essex e fu sceneggiato con buon mestiere dal Cammarano. È come una nuova puntata di un romanzo che faccia seguito alla Bolena: Elisabetta è infatti, figlia sua e di Enrico VIII. L’orgogliosa regina, cosiddetta vergine, nutre una sviscerata passione per l’eroico Devereux, conte d’Essex, il quale è accusato dai Pari d’Inghilterra di aver usato eccessivamente clemenza verso il nemico vinto. La vita di Roberto dipende da Elisabetta, la quale, in cambio del condono della pena, esige l’amore del conte: ma Roberto, che da tempo ama la duchessa di Nottingham, respinge le appassionate profferte della regina; e quindi abbandonato nelle mani del Pari sale al patibolo mentre Elisabetta si abbandona a grottesche e isteriche prese di coscienza.

L’Elisabetta del Devereux appare a un primo sguardo come una donna viziata, capricciosa ed egoista, insofferente verso gli obblighi del soglio reale che, con estrema noncuranza, ella subordina alle necessità del cuore: ciò è evidente soprattutto nella dinamica del primo dialogo con Roberto, Atto I, Scena V. Il personaggio sembra essere ben lontano dai sui illustri precedenti femminili: non possiede, infatti, la fiera maestà della Stuarda, né assomiglia in alcun modo alle vittime sacrificali di Anna Bolena e di Lucia. Eppure l’Elisabetta del ’37 è tutt’altro che un carattere superficiale o convenzionale: nonostante sia lei a muovere le fila della vicenda, essa rimane intrappolata e resta succube delle sue stesse azioni.

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