Avendo già trattato la situazione del teatro Verdiano al momento della sua nascita, mi piacerebbe iniziare a parlare di quelle che, sicuramente, sono le tre opere che maggiormente conosciamo e che soprattutto conferirono a Verdi piena maturità artistica e fama indiscussa. La cosiddetta Trilogia Popolare comprende infatti Rigoletto, Trovatore e Traviata.
Il termine “popolare” non venne scelto dal Maestro al momento della composizione (che avvenne tra il 1851 e il 1853); arriva dopo e coniuga popolarità delle stesse (data dalla grande risonanza e dal successo che acquisteranno) e popolarità indicante i soggetti; tutti i protagonisti sono infatti persone non altolocate: un buffone di corte, una mantenuta parigina ed il figlio di una zingara (anche se, di Trovatore, analizzeremo prossimamente la vera origine ed il drammatico evento che lo colpirà da vicino).
È l’opera preferita da Verdi, il “suo” gobbo: Rigoletto.
Il soggetto, grande, immenso, è quello di Victor Hugo “Le roi s’amuse” (“il re si diverte”); assai sfortunata, rappresentata per la prima volta nel 1832, venne sospesa subito a causa della censura forzata: scomparve dalle scene per ben 50 anni. Nel 1882, infatti, il mondo avrebbe già conosciuto il capolavoro verdiano e quindi già assistito alla rinascita del soggetto di Hugo.
Ma perché la censura? Il suo dramma narra la storia del buffone Triboulet alla corte francese; denuncia quindi, esplicitamente il libertinaggio di Francesco I.
La prima di Rigoletto avvenne a Venezia al Teatro la Fenice l’11 marzo 1851; anche Verdi, però, ebbe problemi con la censura: in particolar modo Carlo Marzari (l’allora Presidente della Fenice), lo invitò a prendere in esame la scomoda e inappropriata visione che il lavoro di Hugo dava al Re di Francia. Così, l’azione, si spostò a Mantova e il Re “divenne” Duca.
Un altro aspetto da non sottovalutare è la scelta del titolo; qui, riporto la lettera scritta da Verdi a Francesco Maria Piave (librettista dell’opera):
“In quanto al titolo quando non si possa tenere Le roi s’amuse, che sarebbe bello… il titolo deve essere necessariamente La maledizione di Vallier, ossia per essere più corto La maledizione. Tutto il soggetto è in quella maledizione che diventa anche morale. Un infelice padre che piange l’onore tolto alla sua figlia, deriso da un buffone di corte che il padre maledice, e questa maledizione coglie in una maniera spaventosa il buffone, mi sembra morale e grande, al sommo grande“. La decisone finale sul titolo cadde sul nome del protagonista, cambiandolo da Triboletto (italianizzazione di Triboulet) a Rigoletto (dal francese rigoler, che significa scherzare).
Il tema della Maledizione è onnipresente sin dall’inizio: un Do ribattuto da tromba e trombone, nel Preludio. Lo udiremo sempre durante l’opera e rappresenta il destino crudele che vedrà protagonista proprio Rigoletto; egli non vuol altro che salvare sua figlia dalle manie predatorie del Duca ma non ha la complicità degli altri cavalieri: il suo mestiere è far ridere, divertire, l’ironia spinta dunque, e tante volte non è cosa ben accetta. Questa, la prima causa della Maledizione che gli verrà scagliata proprio all’inizio dell’opera; spaventato, il primo pensiero è che possa colpire il suo unico tesoro. L’amore totale, incondizionato per sua figlia Gilda, si tramuterà in sentimento di vendetta quando questi scoprirà, come dicevo prima, che il Duca di Mantova, (signore libertino che “ama senza amare”), era riuscito a circuirla e ad ingannarla, promettendole amore.
Gilda però è innamorata ed innamorata morirà sacrificandosi per il Duca stesso (ella verrà a conoscenza della terribile vendetta messa in atto dal padre con l’aiuto di Sparafucile e Maddalena, sua sorella e prostituta).
Rigoletto rappresenta un amore, quello di un padre per una figlia: autentico, vero e sconfinato.
L’amore del Duca è inesistente, egli “ama” per passatempo ed è incapace di provare un sentimento così profondo (senza esitare cadrà nelle braccia di Maddalena, ennesima prova delle sue abitudini moralmente opinabili; già dal primo atto, però, ci rendiamo conto della sua indole).
Gilda rappresenta la purezza, la giovinezza. In punto di morte chiede perdono al padre, si reputa colpevole, colpevole di questo amore che la porterà al sacrificio che pagherà con la sua stessa vita.
Sicuramente viene dato un chiaro profilo di ciascun personaggio, dal punto di vista psicologico innanzitutto, nel Quartetto dell’atto III.
Il dolore, la disperazione e la preoccupazione per la figlia viene espressa magistralmente in una delle pagine più famose dell’intera produzione verdiana:
Questo gobbo, il suo gobbo porta innovazione anche dal punto di vista formale; Mila scrive:
(in Rigoletto) ..la verità artistica coincide con la verità umana, è quella verità: non un accento fuori posto, non una delle tante ripetizioni che appaio ridicola e ingiustificata. […] Per la prima volta l’ispirazione di Verdi non è passeggera e limitata al patetico di una situazione, ma investe tutta la vita di un personaggio.
Ciò significa che aveva concepito il tutto come un’arcata unica, un flusso musicale da non interrompere, ciò che in gergo viene definito come il superamento della composizione a forma chiusa.
Rigoletto finisce tragicamente: tutto si annulla, speranze e vita.
Non resta che la sua maschera da buffone, l’esistenza di questo uomo non avrà più senso.
Al contrario delle altre due opere, il finale di questa non vede un redenzione o un raggiungimento di serenità; è ciò che lo rende così complesso ed unico.
Oh “Le Roi s’amuse” è il piú gran sogetto e forse il piú gran dramma dei tempi moderni. Tribolet è creazione degna di Shakespeare!! Altro che Ernani!! è sogetto che non può mancare. Tu sai che 6 anni fa quando Mocenigo mi suggerí Emani, io esclamai: “si, per Dio… ciò non sbaglia”. Ora riandando diversi sogetti quando mi passò per la mente Le Roi fu come un lampo, un’ispirazione e dissi l’istessa cosa…“si, per Dio ciò non sbaglia”.
Lavinia Soncini