Amen, e così sia! Facciamo addunque Falstaff!
Non pensiamo pel momento agli ostacoli, all’età, alle malattie!
Scriveva così Verdi nel luglio del 1889 dopo aver interiorizzato l’idea di scrivere un’ultima opera. Sì, perché Falstaff è l’opera estrema di Giuseppe Verdi, andata in scena alla Scala nel 1893, all’alba degli ottant’anni del compositore. Un’opera che, neanche da dire, dopo tutte le tragedie scritte (ad eccezione del fiasco della seconda opera – Un giorno di regno) si tratta di una commedia lirica! Una commedia che trae origine dalle Allegre comari di Windsor e dall’Enrico IV di Shakespeare, su libretto dell’amico e devoto seguace Arrigo Boito.
Ambientata nel secolo XV in Inghilterra assistiamo alla storia dell’anziano Sir John Falstaff, panciuto aspirante seduttore delle coniugate Alice e Meg, che progettano ai suoi danni coi mariti e le comari intricati scherzi, sprofondando in situazioni paradossali (per esempio riescono a gettare Falstaff, che si era nascosto nel cesto del bucato, nelle acque del Tamigi!) e che si concludono tuttavia con il lieto fine, tramite la nota ed enigmatica frase di Falstaff che saluta: “Tutto nel mondo è burla!”.
Il libretto di Boito è davvero originale e per certi versi quasi esuberante. Pensiamo al processo che subisce Falstaff nell’ultimo atto con tutta una serie di esilaranti appellativi: Poltron! Ghiotton! Pancia ritronfia! Sconquassa letti! Vuota barili! Triplice mento! Capron! Scroccon! Spaccon! Globo d’impurità! Otre di malvasia! Re dei panciuti!….e così via. Queste parole creano un’immagine di Falstaff così eloquente e altrettanto buffa alla quale è impossibile non sorridere.