Gioachino Rossini è sicuramente un personaggio singolare: nato a Pesaro nel giorno statisticamente più improbabile, il 29 febbraio del 1792, anno bisestile, è tutt’oggi uno dei compositori più eseguiti al mondo.

Non solo ha prodotto numerose opere, ma ha contribuito a riformare il genere del melodramma dandone un’impostazione più precisa e paradigmatica, creando un’importante congiunzione tra il Settecento di Vivaldi, Händel, Galuppi e Cimarosa, e il futuro Ottocento di Donizetti, Bellini e soprattutto Verdi. Ha segnato, dunque, un periodo di passaggio ma in modo spontaneo, istintivo e decisamente anti-intellettuale.

Ancora oggi, se pensiamo ai compositori del passato, siamo soliti proiettare su di loro intelligenze sopra alla media, un estro peculiare e una cultura impeccabilmente eccezionale. Ad oggi, immergendoci nella cultura popolare, se pensiamo a Mozart ci immaginiamo un bimbo prodigio che cresce in un genio incompreso, Bach appare come un compositore matematico e calcolatore, Verdi non viene ricordato solamente come un abilissimo compositore ma anche come un regista teatrale. Insomma, ogni compositore ha qualcosa che lo rende incredibilmente abile in un settore, una caratteristica che lo eleva su un piedistallo irraggiungibile: e Rossini?

 

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