L’opera e la musica colta vengono spesso viste come arti estremamente serie, frutto di un passato aulico e austero nei confronti della comicità. Gli stereotipi rappresentano – il più delle volte – i compositori come intellettuali insensibili al riso e anche le opere buffe, pensate appositamente per divertire, sono ricondotte a un linguaggio freddo e ormai lontano dalla nostra contemporaneità. Persino la figura del melomane è vista solitamente come un personaggio noioso, vincolato a un tempo passato che nulla ha da condividere con la semplicità dell’intrattenimento del ventunesimo secolo.
Eppure, ci sono elementi che facevano divertire molti decenni fa e che ancora oggi possono sollecitare il riso. Sto pensando a tutte le incomprensioni tipiche dell’opera comica, ai travestimenti, ai linguaggi più bassi che talvolta compaiono nei libretti, e, anche se talvolta meno spontanei da cogliere, anche ai doppi sensi che caratterizzano le battute dei personaggi buffi.
Infatti, nonostante si pensi sempre all’opera come a un genere estremamente serio e serioso, le incursioni comiche non sono mai mancate, talvolta assumendo tratti leggeri ed estremamente concreti.
Nonostante il grande limite della censura che ha caratterizzato una grande parte della produzione operistica, alcune parole sono riuscite a raggiungere il pubblico e a essere rafforzate dal linguaggio musicale.
Particolarmente irriverente da questo punto di vista appare la produzione buffa rossiniana, spesso affine a un tipo di comicità molto terra terra, ancora largamente godibile oggi. Sicuramente il libretto dell’Equivoco stravagante di Gaetano Gasbarri per la musica di Gioachino Rossini nasconde numerosi riferimenti allo scambio di sesso del personaggio di Ernestina, creduta un uomo evirato in giovane età. Non diventa quindi difficile capire cosa intenda Buralicchio quando dice a Ernestina che teme di incontrare uno “scoglio in alto mar” nell’intimità con lei. Anche la cavatina di Gamberotto non resta esente da sottintesi umoristici, quando Rossini fa ripetere al buffo le parole “m’hanno rotto” per tre volte, suggerendo al pubblico una continuazione della frase sicuramente poco raffinata.