Nell’arco di tutta la stagione operistica italiana c’è un giorno in particolare che finisce sempre, ogni anno, sotto i riflettori: il 7 dicembre, Sant’Ambrogio, quando il Teatro alla Scala di Milano inaugura l’anno teatrale con una serata all’insegna della musica e dell’eleganza. Le personalità più in sono presenti e, con loro, le telecamere di tutta Italia, nell’attesa di veder rappresentata sul palco l’opera che aprirà la stagione. Piacerà? Non piacerà? I cantanti saranno all’altezza del loro ruolo? E la messinscena?
Domande lecite, per ogni appassionato e per i soliti curiosi, che magari che si affacciano al mondo dell’opera soltanto in questa occasione. Qualche volta però l’opera cattura l’attenzione dei più perché accusata di urtare la sensibilità. È il caso di Attila, che quest’anno ha aperto al Piermarini con la regia di David Livermore, diretta da Riccardo Chailly. Ambientato in un’Italia occupata dai nazisti, l’Attila di Livermore vedeva in scena la distruzione della statua di una Madonna; subito è intervenuto il sindaco di un comune in provincia di Bergamo, accusando il regista di urtare la sensibilità dei credenti e costringendolo ad effettuare modifiche che potessero essere “politically-correct”.