“Notti magiche, inseguendo un gol” recitava la colonna sonora dei mondiali di calcio Italia ’90. Forse molti di voi che mi state leggendo all’epoca non eravate neanche nati, od eravate comunque molto piccoli. Quella è stata un’estate magica. Mi è venuta in mente proprio ora, visto il periodo chiaramente e soprattutto in relazione al fatto che noi, a questi mondiali, non abbiamo preso parte. Niente notti magiche quindi, ma.. di eventi altrettanto straordinari, e a mio avviso sicuramente migliori, se ne sono svolti eccome, e con altrettanta gloria per il nostro Paese.
Questa è stata la settimana di Riccardo Muti a Firenze, durante la quale il direttore d’orchestra ha celebrato il suo 50esimo anniversario con il Teatro del Maggio. La stagione si è infatti chiusa con una rappresentazione in forma di concerto del Macbeth di Giuseppe Verdi. Non potevo perdere l’occasione di partecipare ad un evento che non esito a definire di portata storica, sicuramente per quanto riguarda almeno la storia della musica. Ora posso dire con gioia: io c’ero!
L’atmosfera che si respirava era festosa, ben lontana dalla tensione che normalmente si percepisce nelle serate ufficiali. Il pubblico era di veri amanti dell’opera ed estimatori del Maestro, accorsi da ogni dove sicuri di assistere ad uno spettacolo di livello eccezionale. Tutti gli ingredienti erano presenti: grande direttore, grandi orchestra e coro, solisti di caratura internazionale. Giuseppe Verdi e Muti inoltre sono un’accoppiata esplosiva; insieme hanno sempre fatto scintille, fin dagli esordi del Maestro.
L’Arte in quanto tale è soggettiva, può piacere oppure no. E i gusti non sono sindacabili. Ma di fronte alla maestria, alla perizia, all’abilità, a quella che comunemente si chiama bravura, nessuno può dire nulla. Ed è ciò che è accaduto l’altra sera.
Non sono mai stata una fan accanita di Muti, una “mutiana” per così dire, ma riconosco la grandezza quando la incontro. Posso non condividere alcune scelte di tempi, qualche sfumatura nella lettura o nell’interpretazione, ma so cogliere l’entità di ciò che ascolto.
Dal primo attacco si è subito capito con che cosa avevamo a che fare. Un’orchestra stratosferica, precisa al millesimo di secondo, compatta, con un suono rotondo, corposo, immenso e possente. Tutti incollati al gesto di un uomo che, vicino ai suoi 77 anni, dirigeva come un ragazzino; i movimenti precisi, rapidi e perentori, una vitalità che scaturiva da ogni fibra del suo corpo, pur nella compostezza e nella regalità.
Avreste dovuto sentire gli archi! Erano qualcosa di quasi sovrannaturale, riempivano tutto il teatro con un suono che raramente ho sentito dal vivo. E lì, in quei momenti, ho avuto per l’ennesima volta la conferma di perché io ami tanto l’Opera. Quando la musica è fatta bene non ci sono critiche che tengano, né scorciatoie, arriva dritta all’anima, dove deve arrivare. Questa è la dittatura dell’Arte, quella vera: smuove tutti, colpisce ogni cosa, senza chiedere il permesso.
Il cast vocale di ottimo livello, così come il coro, ha completato uno spettacolo di cui si parlerà a lungo. Il pubblico ha reagito con un vero e proprio tripudio, rivolto a tutti i partecipanti. Dai semplici applausi si è passati a quelli ritmati, e il curtaincall si è trasformato in una grande festa, com’era giusto che fosse.
Samuela Solinas