Rinnovamenti e altre stranezze del ventunesimo secolo
A volte, parlando di opera e di composizioni di secoli fa, si rischia di ripetersi. Sembra come se gli argomenti finissero. Così ci troviamo sempre davanti alle stesse tematiche, agli stessi prodotti teatrali. Gli spettacoli si ripetono uno dopo l’altro e le regie si assomigliano un po’ tutte: sempre il solito Rigoletto, la solita Cio Cio-San piangente, la solita Violetta morente. E lasciatemi dire: che noia!
Talvolta occorre guardare le cose da un’altra prospettiva. In giapponese esiste un termine interessante: hirenzoku no renzoku, traducibile come “continuità di discontinuità”. Questa espressione è stata coniata per la prima volta dal filosofo Nishida Kitarō e ripresa anche in ambito teatrale per evidenziare la continuità della tradizione nonostante le alterazioni e le avanguardie sopraggiunte nei secoli di tradizione artistica. Il termine, così radicalmente connesso al mondo teatrale asiatico, si sposa benissimo anche con l’ambiente occidentale.
Questa filosofia sembra un ampliamento dei famosi “corsi e ricorsi” della storia di cui parlava Giambattista Vico. Effettivamente, mi sembra che siano due facce della stessa medaglia.
È innegabile, infatti, che la riproposizione continua di opere e musiche del passato sia un ritorno continuo. Una ripetizione seriale di un modello del passato. Eppure, c’è sempre qualcosa di nuovo. Siamo noi a cambiare, il nostro pensiero, la nostra sensibilità.