Non c’è nulla di più collettivo dell’espressione che il coro conferisce in un’opera. Infatti, oltre ai personaggi che animano la vicenda in un’opera lirica, accompagnati dall’orchestra, anche il coro ha un proprio ruolo, talvolta preponderante.

Può avere diverse funzionalità drammaturgiche: rappresentare la collettività, intesa come un gruppo di sacerdoti, contadini, popolani, personaggi di fantasia, condottieri ecc…, che commentano le azioni dei protagonisti o creano la cornice sociale per l’ambientazione delle vicende narrate.
Vediamo un po’ nella storia come è nata l’idea di introdurre l’espressione corale in un’opera e come si è evoluta nel tempo.

Già con l’esordio dell’opera fiorentina del 1600, i cori assunsero un ruolo importante, soprattutto nell’offrire una variante al “recitar cantando”.
I brani d’opera corali dell’epoca, fiorentini, romani e mantovani, ereditarono dal Madrigale la loro forma. Potevano inoltre avere forma strofica, dove le strofe identiche musicalmente venivano riprese con un ritornello da sezioni strumentali (ad esempio nell’Orfeo di Monteverdi): in questo caso, i coristi cantavano divisi in quattro voci, in maniera omofonica.

Le funzioni drammaturgiche del coro d’Opera barocco erano per lo più quelle di commento alle situazioni, di supporto ai protagonisti, di esprimere emozioni condivise da tutti, di accompagnare i numeri di danza.

Una sorte diversa spettò ai cori d’opera francesi, dove il compositore combinava insieme effetti prodotti dal canto, dalla danze, dai cori omofonici e dalle spettacolari macchine sceniche. Sulla base della convinzione che la Francia non generasse contralti, essi venivano sostituiti nei cori dai tenori acuti chiamati haute-contre. Fino all’Ottocento, pertanto, la struttura del coro francese risultò composta da: soprani (dessus), tenori contraltini (hautes-contre), tenori (tailles) e bassi.

LEGGI TUTTO L’ARTICOLO