Gli anni Trenta dell’800 videro nascere quei preziosissimi gioielli del melodramma Romantico italiano racchiusi tra “Anna Bolena” e “Nabucco”. Di tale preziosità risplende anche la donizettiana “Lucia di Lammermoor”, andata in scena al San Carlo di Napoli nel settembre del 1835. Erano, quelli, anni di transizione verso una nuova forma, anche se il problema di fondo con il quale i compositori si scontravano restava sempre la “convenzione”. Gli autori dovevano scontrarsi contro un’architettura del melodramma costituita da una ripetizione quasi rituale di episodi e nella distribuzione dei ruoli fra i celebri cantanti ingaggiati. Se a questo aggiungiamo tutta una serie di libretti che spesso e volentieri erano materiale già usato e consumato non restava altro che sperare ed affidarsi alla creatività e alla bellezza della musica. Spesso capitava, fortunatamente, che qualche poeta riuscisse a stendere testi che facilitavano il lavoro dei compositori per l’intensità del sentimento di cui erano permeati. È il caso del libretto che Salvatore Cammarano redasse per Donizetti partendo dall’opera di Sir Walter Scott “The bride of Lammermoor”. Lontananza, solitudine, dovere familiare, inganno sono le parole chiave della “Lucia”.
Abbiamo in quest’opera una summa della donizettiana opera d’eroine, con il suo incredibile fascino, il suo alone di immensa solitudine, la pazzia, il tutto costruito su quelle sequenze convenzionali tanto amate dal pubblico dell’epoca. Il fascino di quest’opera risiede probabilmente proprio in questa simbiosi tra convenzione e rottura. L’amore, la follia e, la conseguente morte, sono qui celebrati insieme poiché nell’amore è insito quel germe folle che, se acceso, porta inevitabilmente al dramma. La stessa Lucia muore consumata dal delirio più che dai voluttuosi vocalizzi della sua ultima cabaletta. Il momento che segna l’apice morale della vicenda è il Quadro II del I Atto: è il momento in cui, firmato il contratto di nozze con Arturo, irrompe sulla scena l’amato Edgardo che impreca e maledice la fanciulla.