«Ridi, Pagliaccio, sul tuo amore infranto! Ridi del duol che t’avvelena il cor!» Così canta Canio nell’opera Pagliacci di Leoncavallo. Quest’opera è considerata appartenente alla corrente del verismo insieme alla famosa Cavalleria rusticana di Mascagni. Ma cos’è il verismo operistico?
Come più volte ci hanno ripetuto a scuola, il verismo è quella corrente letteraria che, rifacendosi al naturalismo francese, è caratterizzata dalla narrazione della realtà effettiva, senza risparmiare i dettagli più tristi e drammatici della vita, in uno stile quanto più possibile vicino al vero e impersonale. La corrente operistica affine, anche chiamata Giovane Scuola, si sviluppò soprattutto in Italia negli ultimi anni dell’Ottocento e tra i suoi esponenti conta, oltre ai già citati Mascagni e Leoncavallo, Cilea, e alcune opere di Puccini.
Le caratteristiche dell’ultima attestata corrente operistica, anche se in molti non sono concordi nel definirlo un movimento, hanno a che vedere con il verismo letterario solo in senso lato: non vi è la pretesa di narrare fatti verosimili in maniera impersonale, non vi è la volontà di raccontare il dramma umano che va oltre i sentimenti, non vi è un’intenzione di denuncia, ad esempio, delle condizioni lavorative della classe contadina. Quindi perché “opera verista”? Perché questi autori scelgono un soggetto umile, in un certo senso verosimile (Pagliacci trae ispirazione da un fatto di cronaca realmente accaduto), ma soprattutto non è tanto il soggetto quanto l’ambientazione che è realistica, caratterizzata tenendo conto della geografia e della condizione sociale dei personaggi. I compositori veristi adottano tratti distintivi popolari e di estrazione quotidiana perciò fanno un largo uso di danze, stornelli (Tosca ne presenta molti), cerimonie, ecc.; insomma vengono reinterpretate le musiche legate alla vita quotidiana, e non solo: queste opere presentano un alto numero di grida, pianti, lamenti proprio a sottolineare il legame con la più insolente quotidianità.
Il verismo operistico non poteva di certo non prendere le mosse da uno degli autori italiani più celebri e importanti della corrente letteraria omonima: Giovanni Verga, il quale diede i natali a Cavalleria rusticana dalla quale Mascagni trasse il testo della sua più famosa opera, sulla quale mi soffermerò perché è tra le più esemplificative. La novella Cavalleria rusticana fu pubblicata nel 1880 nella raccolta Vita dei campi e Verga stesso curò l’adattamento teatrale, che andò in scena per la prima volta nel 1884 ed ebbe molto successo poiché uno dei ruoli più importanti era affidato alla celebre Eleonora Duse. Il compositore Mascagni, invece, concepì la sua versione della Cavalleria, partendo proprio dalla trasposizione teatrale, rispondendo ad un concorso per opere di un atto bandito dall’editore Sonzogno nel 1888 e vinse. La trama dell’opera e della novella pressoché coincidono ma nel componimento operistico manca, come si è detto sopra, l’elemento essenziale del verismo letterario che è la critica sociale; la gelosia che nasce in Turiddu è scaturita da una motivazione sociale che in Mascagni si perde.