Non esiste nel teatro d’opera un’unica concezione di regia. Gli addetti ai lavori che hanno il compito di maneggiare la materia possono, anzi devono, plasmare la drammaturgia musicale a seconda della loro visione.

Sempre di più negli anni il teatro d’opera si sta spingendo a una ricerca dell’assoluto trasformando quinte e palco in una vetrina che in molti penserebbero di trovare maggiormente a una biennale artistica piuttosto che nel luogo dato agli spettacoli. Ma l’opera è anche questo: una piattaforma multimediale dove molteplici linguaggi dialogano fra loro a ritmo di musica. Non tutti approvano ma si sa, è un peccato mortale pretendere di piacere a tutti ad ogni costo.

Ed è in clima glaciale, di distacco totale quasi a volerne prendere le distanze da un passato di tradizione, dal testo e dal concetto canonico di messa in scena che Bob Wilson stilizza la scatola scenica in un contenitore che potrebbe essere letto come incubatore antologico per tutta la storia dell’opera. Atemporale e discordante trova fusione totale in una mimica fissa, volutamente costretta e così innaturale da far emergere dissonando, la musica e la parola che nonostante l’iniziale smarrimento funziona. La perfezione asettica delle luci è quasi terapeutica e ipnotica quando non vira sul disturbante tono scarlatto che presagisce la tragedia solo pantomimata dagli artisti ma mai palesata.

Trovatore 3La ricercata perfezione diventa disturbo ossessivo di una posa plastica della quale il pubblico, la società, non viene ormai più disciplinata. La costrizione è sia in scena che nel pubblico intento, obbligato a seguire una vicenda priva di ogni phatos, con ricorrente fastidio non per questo necessariamente negativo.

La serata sarà, oltre che una lezione di teatro, un esercizio di stile, di rigore del quale il pubblico ne diventa protagonista.

Quando si va a teatro non si può tornare a casa vuoti e a questa prima di stagione del Teatro Comunale di Bologna, se ne esce con un senso estetizzante totale dove la bellezza a volte può essere tagliente, crudele e fine a se stessa.

Il teatro d’opera è anche questo, espressione degli stati d’animo di un’umanità fredda e muta, quasi bidimensionale incapace di riconoscersi sotto luci differenti dove c’è solo voglia di aggredirsi mangiando le fragilità dell’altro quando una bella scazzottata terapeutica potrebbe ripristinarne i naturali equilibri.

Bob Wilson col suo fare teatro da un pugno al passato e una speranza al futuro.

Susanna Alberghini