Le produzioni spesso non nascono e muoiono in una sola alzata e chiusura di sipario. In passato gli spettacoli stavano per interi mesi in cartellone, ma i tempi sono cambiati e non viviamo più né nell’800, né tanto meno nel secolo che diciannove anni fa ci siamo lasciati alle spalle passando all’era del digitale e degli anni duemila.
Il mondo è enormemente cambiato ma non la voglia di portare in scena le storie che fanno sognare, e la musica della tradizione italiana.
In più le distanze sono divenute più accessibili e lo scambio culturale tra popoli è ormai strumento di valorizzazione territoriale, orgoglio nazionale e linguaggio universale.
Tutti i compositori del passato e le storie senza tempo sono rappresentanti di una nazione, di una cultura e spesso di una gioia di vivere. O un mondo misterioso da scoprire e interpretare attraverso l’uso delle note e delle parole.
Ed è così che i teatri, oltre che a produrre spettacoli per il proprio pubblico, realizzano allestimenti pensati per la nazione che andrà ad ospitarli, divenendo vero e proprio omaggio di scambio e di pace fra due mondi assai differenti.
È il caso dell’ultima messa in scena del Barbiere di Siviglia che il Teatro Comunale di Bologna ha proposto, prima al suo pubblico, poi in una prestigiosa tournée in Giappone, dove la scelta registica e stilistica non si discosta poi troppo dalla tradizione, realizzando un prodotto più adatto al pubblico nipponico che a quello occidentale.