Erano gli anni durante i quali frequentavo le scuole medie (tra il 1997 ed il 1999) e, ricordo oggi come ieri, di aver visto una sera in televisione uno stralcio della Turandot andata in scena all’Arena di Verona nel 1983, con Ghena Dimitrova e Nicola Martinucci (nelle rispettive parti di Turandot e Calaf) con la direzione musicale di Maurizio Arena. Ricordo di aver visto, ipnotizzato, tutto il Terzo Atto ritrovandomi, commosso, in lacrime dopo la scena della morte di Liù (all’epoca interpretata da Cecilia Gasdia). Fu in quel preciso momento che capii che la mia vita sarebbe stata indissolubilmente legata al teatro e all’opera. Da quel momento, impiantatasi nel cuore e nella mente di un ragazzino, Turandot rimane tutt’ora una delle mie opere preferite ed il personaggio di Liù più dell’opera stessa. Mi piacerebbe iniziare a discorrere di questa piccola donna partendo da una lettera che Giacomo Puccini scrisse alla diva Giulia Dalla Rizza nella Primavera del 1921, dov’è ventilata l’idea che Liù dovesse avere un ruolo ampliato nell’opera definitiva: «…penso che la piccola Liù sarà una parte per voi; non crediate che sia secondaria, tutt’altro; Turandot potrà essere adatta per la Gilda, ma per ora è sempre fra le quinte. Liù viene, mi pare, deliziosa».

Chi è in realtà Liù e in quale contesto questa figura viene inserita? Turandot, ultima incompiuta opera del Maestro lucchese, iniziò a prendere forma nella mente di Puccini nel 1920. Le novità di Turandot sono davvero tante: l’esotismo utilizzato come suggestione che consente di astrarre al massimo la vicenda divenuta ormai metafora atemporale; l’economia complessiva che costringe l’opera in un arco di tempo serrato; la psicologia perversa di personaggi nevrotizzati e complessi, mossi da pulsioni primitive che li portano al limite dell’irrazionalità; il duello gigantesco tra l’elemento femminile e quello maschile, tre Eros e Thanatos. In questo contesto così oscuro e sadicamente perverso Liù è il personaggio che a suo modo si presenta come l’ultima donna pucciniana. Ma appunto a suo modo: in una situazione e in un contesto ambientale che la fa da loro alquanto diversa. Liù ha nutrito il suo amore, come vedremo più avanti, soltanto in sogno e lo realizzerà in un sacrificio della vita, nientemeno che per donare all’amato la donna ch’egli desidera: eroismo e animo che in nessun’altra donna pucciniana avevamo conosciuto.

 

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