Chiunque suoni uno strumento sa, come sappiamo tutti noi musicisti, che l’esibirsi davanti ad un pubblico può essere fonte di grande ansia e preoccupazione, ma allo stesso modo sa che poi la musica restituisce tutta quella tensione sotto forma di emozioni. Fare musica insieme in un’orchestra e suonare come solista porta in ogni caso grandi soddisfazioni, ciò che però crea più magia di tutto è il suono di un’intera orchestra in sintonia, di un’orchestra che è un corpo umano in salute in cui ogni strumento è una parte, una singola parte che però lavora per tutto l’insieme. Una parte da sola non basta per tutto il corpo, così un solo strumentista non può salvare un’intera orchestra. La bellezza aggiunta di tutto ciò è che il linguaggio della musica non ha alcun confine, lo può capire un italiano così come un cinese o un egiziano: la musica, si sa, unisce. Proprio in questo periodo storico di divisione, di guerra, di stragi, questo linguaggio è più che necessario, basti pensare come nella storia la musica ha giovato all’uomo. È risaputo, ad esempio, che i musicisti rinchiusi ad Auschwitz si organizzarono in gruppi musicali accogliendo anche dilettanti alle prime armi. La musica è stata in quell’occasione veicolo per la trasmissione e per lo sfogo dei propri sentimenti, e anche oggi, del resto, non abbiamo tutti qualcosa che amiamo ascoltare quando non stiamo bene? Non solo fare musica insieme agli altri, ma anche semplicemente la musica nel suo più ampio significato aiuta profondamente chi si trova in difficoltà. L’uomo ha quindi bisogno della musica, ha bisogno di esprimersi, di riversare fuori da sé quei sentimenti che alle parole non è concesso di esprimere.