Le nozze di Figaro viene considerata una delle opere più famose di Wolfgang Amadeusz Mozart, una storia dall’atmosfera lieta dove sulla musica del genio austriaco danzano allegre le parole del libretto scritto da Lorenzo Da Ponte, a sua volta tratto dalla commedia Le mariage de Figaro di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, e che dalla sua prima a Vienna nel 1786 si è diffusa, teatro dopo teatro, anno dopo anno, con passo gioviale fino a che non ho avuto la fortuna di incontrarla di persona, al Teatro Grande di Poznań (Teatr Wielki im. Stanisława Moniuszki w Poznaniu).
Lo spettacolo era in scena solo dalla sera precedente, sabato 23 febbraio, quando si è presentata l’occasione di potervi assistere, e nel tardo pomeriggio della domenica ancora si sentiva la piacevole tensione della novità: sotto il grande lampadario di cristallo del teatro, il rosso delle poltrone si perdeva nella folla variopinta richiamata dal fascino dell’opera, esercitato tanto sugli appassionati di lunga data, habitue del teatro, quanto sui giovani. L’opera come ponte tra le generazioni, in un paese che riesce ad essere sia in crescita che attento alle tradizioni. E come vuole la tradizione, l’opera in scena è stata cantata nella lingua in cui è stata ideata, in questo caso, la lingua madre dell’Opera: l’italiano. La distanza che separa l’italiano dal polacco, ritenuto generalmente una delle lingue più difficili d’Europa, può essere una sfida e, per aiutare il pubblico a seguire le vicende amorose che si intrecciano sul palcoscenico, il teatro può usufruire di uno schermo sopraelevato, dai caratteri luminosi, sul quale scorrono in diretta i sopratitoli.
Ma prima delle parole, la musica: l’orchestra diretta da Walter E. Gugerbauer comincia a suonare a sipario chiuso e già affascina il suo pubblico. Le pesanti tende si schiudono sulla scenografia firmata da Paweł Dobrzycki, semplice, poco elaborata, composta da accenti barocchi che lasciano trasparire il moderno, che però non rompe l’incantesimo. Le melodie riempiono lo spazio e creano l’atmosfera, trasmettendo la sensazione di altri tempi, e quando Figaro (Wojciech Gierlach) inizia a contare e Susanna (Barbara Gutaj-Monowid) a volteggiargli attorno, il quadro è completo. Susanna davvero degna di una menzione particolare nel suo essere raggiante, una cantante che col suo sorriso caldo e il suo estro potrebbe riempire da sola il palco.
La chiarezza della pronuncia nel canto è ammirevole in tutto il cast, ma nell’interpretazione, oltre alla coppia protagonista, spiccano specialmente il Conte di Almaviva (Stanisław Kuflyuk) grazie alla sua espressività e il Cherubino (Galina Kuklina), una figura ricreata con un’androginia meravigliosamente bilanciata.
Anche se l’opera, nella regia di Marek Weiss-Grzesiński, non è stata eseguita nella sua originale interezza, con alcune battute tolte da varie scene ed alcuni adattamenti, il quadro generale non ne risulta sbilanciato.
Per un italiano, e per ogni amante della musica, dell’arte e del bello, l’Opera può significare essere a casa anche all’estero, ovunque, ritrovarsi in un luogo e un tempo altro e proprio, in cui immergersi e da cui riaffiorare corroborati nell’aria fredda della sera, dove le luci del centro storico, a volte più clementi di quella del sole, illuminano i palazzi pittoreschi di Poznań, l’Università di Scienze Mediche e il castello imperiale col suo parco, per tornare alla realtà quotidiana lentamente, un sogno che svanisce nella notte e nel riposo, da ricordare al mattino come un’aria che aleggia ancora tra i suoni della città che si sveglia, qualunque sia il suo nome, quale che sia il suo tempo.
Valérie Morisi