Parlando della figura della donna, all’interno del teatro, non possiamo non citare due dei più grandi protagonisti della storia dell’Opera: Giuseppe Verdi (1813-1901) e Giacomo Puccini (1858-1924). I due autori hanno sempre portato in scena personaggi femminili caratterizzati con cura. Si sono sempre concentrati, infatti, sull’approfondimento psicologico e umano delle donne ergendole a vere e proprie eroine.

Nonostante questa scelta comune ad entrambi, possiamo trovare numerose differenze nella visione della donna tra Verdi e Puccini all’interno delle vicende narrate. Verdi era solito rappresentare donne lunari e misteriose. Sul Maestro, infatti, hanno inciso significativamente influenze e temi del movimento romantico, come il rapporto con la natura e la magia che ritroviamo con Amelia, eroina verdiana, alla ricerca di un’erba magica. Questi ideali, avvolti dal mistero, propongono così personaggi succubi al caso ma pronti a sacrificarsi per amore. Le donne verdiane quindi sono sempre “alle prime armi” con l’amore ma non per questo hanno paura di rischiare tutto per il desiderio dell’amore stesso.

Un esempio concreto è Gilda in Rigoletto, ella infatti si innamora del Duca Di Mantova che si è finto un giovane studente nascondendo la sua vera identità. Gilda, nonostante scopra che quest’ultimo l’ha ingannata sceglie comunque di sacrificarsi per lui, perché alla fine egli le ha mostrato realmente cosa vuol dire amare. Queste donne non scendono a compromessi, combattono per i loro ideali anche contro il destino avverso, come Leonora di Trovatore pronta al suicidio pur di non concedersi e mostrarsi vittima dell’uomo. Vi sono due tipi di donne nell’ideale verdiano: la donna calcolatrice (come Lady Macbeth) e le donne ideali (come Aida o Gilda). Verdi, quindi, promuove una vera e propria forma di eroismo al femminile mostrando la forza di quest’ultime.

Puccini, d’altra parte invece, è stato influenzato in modo particolare dal Verismo come si evince dalla realtà in cui sono immersi i suoi personaggi. Gli ideali di base che lo guidano sono caratterizzati dalla concretezza, così come i soggetti da lui presentati che persistono in qualsiasi situazione pur di arrivare all’obbiettivo. Il carattere delle donne pucciniane è molto semplice, diretto, veritiero, sanguigno e passionale. Non sono più donne caste e ingenue ma donne disinvolte con una forte malizia. Donne pronte ad uccidere per mantenere la propria dignità, quindi non più vittime come in Verdi (Leonora, Trovatore) ma assassine come Tosca.

Puccini vuole esaltare la verità con l’utilizzo di donne comuni e per questo sempre attuali come Mimì in Bohème. L’istintività dei suoi personaggi rispecchia in pieno la corrente verista, che prediligeva la realtà e l’immediatezza della vita quotidiana. La cosa che accomuna questi due autori è la ricercata analisi di tutte le sfaccettature del mondo femminile. Tra i due possiamo trovare un “punto d’incontro” con Violetta e Mimì. Violetta, personaggio verdiano, e Mimì, personaggio pucciniano, sono due facce della stessa medaglia e hanno in comune un’introspezione psicologica particolare.

Le due sono l’emblema della ribellione sociale della donna tra la fine dell’800 e i primi del ‘900; entrambe sono personaggi ambigui per l’epoca, da una parte infatti abbiamo una prostituta (Violetta) e dall’altra una donna che vive da sola ma che volontariamente si reca nella casa del vicino Rodolfo (Mimì). Nonostante le polemiche, queste due donne sono un emblema, vere e proprie eroine immortali nella loro purezza d’animo.

Puccini e Verdi non si ritrovano in accordo solo sulla centralità delle donne nell’opera, ma anche sulla critica sociale alla borghesia, che giudicava moralmente ed in modo ipocrite le due protagoniste. Verdi e Puccini sfidarono la società per far emergere le donne della “nuova” società e segnarono gli animi degli spettatori con la forza della parola, della musica e dei sentimenti.

Alessandra Gambino