Andare a teatro è un’esperienza peculiare, un incontro di personalità diverse, raccolte tutte in un medesimo luogo fisico a osservare minuziosamente la realizzazione di un progetto nuovo, che pone le sue basi in un’opera d’arte di decine – ma molto più spesso centinaia – di anni fa. Rivolgendosi a un pubblico così vasto sembra impossibile mettere d’accordo tutti e, infatti, il più delle volte, effettivamente qualcuno di scontento c’è. È naturale così; qualsiasi regista, quando propone la sua visione di un’opera, lo mette in conto e accetta il rischio. L’elemento che deve (o forse dovrebbe) essere condiviso sia dal pubblico sia dagli artisti e produttori dello spettacolo è il rispetto.
Esso, in ambito artistico, assume davvero numerosissime declinazioni, creando equilibri delicati. Il rispetto si trova, per esempio, nella creazione di una nuova regia di un’opera: lo studio del prodotto artistico originario e il rispetto delle intenzioni del compositore devono essere il punto di partenza per trovare l’apprezzamento del pubblico. Il rispetto del libretto, invece, viene più spesso percepito da chi ricrea l’opera con minore rigore, permettendo qualche libertà in più, ma senza discostarsi eccessivamente dalle descrizioni originali. Occorre, infatti, ribadire anche la funzione didascalica che la parola scritta conserva, descrivendo gesti, oggetti, situazioni sulla scena che hanno bisogno di una corrispondenza esatta o, quantomeno, verosimile.