Conferenza stampa del Teatro alla Scala diretta da Adriana Guarnieri Corazzol, Raffaele Mellace, Carla Moreni, Emilio Sala e Trentinaglia Corsini

 

 

L’opera viene rappresentata per la prima volta al Teatro alla Scala nel 1913, diretta da Tullio Serafin.
Si tratta di un dramma bellico di argomento guerresco.

Adriana Guarnieri Corazzol, una delle relatrici della conferenza stampa su “l’amore dei tre re”, ci propone la visione dell’opera collocata tra Décadence e Teatro della Crudeltà.

Si può parlare di decadentismo (da Décadence) per la corruzione morale, per la centralità della morte e per la contrapposizione tra il super uomo e l’inetto; Teatro della Crudeltà perché è ben forte l’idea di voler sconvolgere lo spettatore per ottenere la sua totale attenzione: ci sono infatti assassini e violenze di vario tipo ambientate in epoca medievale.

In quegli anni Freud aveva affrontato il tema di Eros e Thanatos (amore e morte), un caso?

Il nord Italia in quel periodo veniva invaso dai barbari e ci sono guerre di conquista.

Nel primo atto troviamo la discesa giovanile e vittoriosa del protagonista Archibaldo. Allora era un uomo forte e dotato ma inseguito diventerà cieco e questo lo porterà ad un forte senso di amarezza e sensibilità.
Fiora (soprano) e Avito (tenore) si amano ma lei è promessa in sposo al figlio di Archibaldo (baritono) per sugellare la pace tra vincitori e vinti.

La vicenda segue il classico triangolo amoroso tipico dell’Ottocento dove il soprano è innamorato del tenore ma il baritono impedisce il loro amore. In particolare in questo caso c’è un quarto personaggio che si inserisce nella vicenda: il basso Archibaldo.

La pulsione erotica di Archibaldo è fortemente repressa.
Archibaldo prima stupra e poi uccide Fiora quando appura che lei tradisce Manfredo, suo figlio.
Come nell’ “Amore dei tre re” anche in Otello il super uomo strozza la donna.
Quando Archibaldo contempla la nuora, prima stuprata e poi uccisa, tutto implode in un silenzio agghiacciante (sullo spartito è riportato “pausa di orrore”).

Archibaldo ha 60 anni è alto, maestoso e cieco. Custodisce gelosamente Fiora, moglie del figlio.

È un vecchio barone che forse in fondo prova qualcosa anch’egli per la moglie del figlio.

Manfredo e Archibaldo sono di stirpe germanica, mentre il servo di Archibaldo come Fiora e l’amante sono di stirpe italica.

Archibaldo non scopre subito i sotterfugi di Fiora, infatti il servo di lui è alleato con la soprano e la copre.

I livelli di censura presenti nell’opera sono maggiori addirittura di quelli applicati nell’opera “Ernani” di Verdi.
Guardiamo ora da più vicino anche gli altri personaggi:

Avito (tenore): È un ragazzo di 23 anni smidollato, dall’anima dolente. La voce di ragazzo è tanto onirica quanto regressiva. Edoardo Fontana è stato il primo interprete di Avito. Egli aveva cantato il “Parsifal” in quel periodo: aveva infatti una vocalità spinta ma soprattutto italiana.
Avito nell’opera morirà perché darà un bacio a Fiora, morta. Prima che lei morisse, Archibaldo le cosparge le labbra di veleno in maniera preventiva e ottiene ciò che sperava.

Manfredo (baritono): È un uomo di trent’anni di natura buona e mite. Si tratta del figlio di Archibaldo, innamorato follemente di Fiora. Di natura cristiana, neppure quando scoprirà di essere stato tradito dalla promessa sposa con l’amante, riuscirà ad odiarla. Manfredo è un essere puro.
Purtroppo anche Manfredo alla fine della vicenda morirà perché bacerà le labbra avvelenate di Fiora, lasciandosi morire alla vista dell’amata ormai andata.

La violenza che convive con il sublime dal punto di vista strumentale e vocale rispecchia l’italianità.

L’Ethos influenza i caratteri dei personaggi: la madre assente in tutta questa vicenda è un’allusione all’Italia. La passione di Fiora e Avito è l’italianità e invano i barbari cercano di averla vinta.

Sem Benelli (autore del libretto di quest’opera) è stato lo stesso autore della famosa “La cena delle beffe”, celebre opera diventata molto famosa e tradotta addirittura in turco e giapponese.

Montemezzi, autore delle musiche dell’opera divenne celebre solo con quest’opera sebbene ne abbia scritte di più. È stato uno degli ultimi rappresentanti del melodramma dell’Ottocento insieme a Zandonai.

Con “l’amore dei tre re” Montemezzi aveva intercettato il gusto del pubblico del tempo. La fama di Montemezzi venne limitata a quell’opera a per motivi politici.

Si era formato al conservatorio di Milano. Studia con Tullio Serafin, alfiere inseguito dei suoi lavori.

Toscanini aveva diretto il saggio di diploma di Montemezzi. Ricordi lo individuò subito e gli affidò il librettista Luigi Illica. Insomma, da subito ebbe la possibilità di lavorare con grandi nomi e di incontrare persone molto importanti. Lo stesso Puccini gli fece gli auguri e poi le congratulazioni per “l’amore dei tre re”.

Quest’opera viene portata anche al Metropolitan in America dove rimase in repertorio per i 30 anni successivi.

Toscanini stesso rimane allibito dal successo che quest’opera ebbe in America. Non si aspettava infatti che riscuotesse un tale successo nonostante l’avesse diretta lui stesso.

È stata definita come l’opera più vera d’Italia, il dramma più nobile dopo l’Otello di Verdi, con qualcosa di wagneriano ma mantiene la bellezza della linea e l’italianità della scrittura.

Non perdetevi le recite al Teatro alla Scala il 28 ottobre, 3, 7, 10 e 12 novembre!

 

Patricia Fodor