Quando anni fa vidi per la prima volta Nnamdi Christopher Nwagwu al Teatro Comunale di Bologna non sapevo chi fosse: poteva essere un allievo qualunque di una qualsiasi scuola. Poi cominciò a danzare e, immediatamente, mi resi conto che la nuova danza italiana era riuscita a riemergere dopo anni di oblio.

 

L’ho conosciuto meglio in un ristorante bolognese qualche estate fa mentre, tra un boccone a l’altro, disquisivamo appassionati insieme sul mercato della danza, compagnie e balletti. Ho avuto subito l’intuizione di rendermi conto che mi stavo ritrovando davanti a un artista speciale. Difatti è, ad oggi – ed è passata giusto una manciata di anni -, il coreografo italiano internazionale più giovane e per di più affermato anche dalla critica.

Io credo che la danza non sia tutta la mia vita. Sono una persona con così tante energie che non sono capace di focalizzarmi solo su una cosa. Ma le persone più importanti delle mia vita le ho conosciute grazie a quest’arte, che è il mezzo comunicante più evocativo per le emozioni. Credo però di avere altri talenti e di poterne scoprire ancora altri: sono molto legato alla moda, alla psicologia, sono una persona estremamente curiosa al di fuori della danza. La danza mi ha aiutato ad avere una voce.

 

A proposito di opera, hai da poco danzato in Aida a Como…

Ho ricevuto la proposta di lavoro da Barbara Minghetti, che mi aveva già conosciuto a Parma. Essendo lei collaboratrice artistica del Teatro Sociale di Como mi ha invitato a prendere parte a questa produzione di Aida, opera ricca di ballabili. Per questa occasione sono stato l’unico danzatore, e anche il coreografo. Insieme al regista Alessio Pizzech abbiamo immaginato a un ri-pensare Aida, riprendendo le origini eritreo-africane dimenticate di Aida stessa.

 

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