OperaLife oggi ha come ospite Luca Micheletti, un uomo che sta dedicando la sua vita al teatro. Regista, attore, cantante, declina la sua anima teatrale tra prosa e lirica, ottenendo ottimi riconoscimenti in entrambi i linguaggi, che grazie a lui riescono a condensarsi in una sola persona e in un unico spettacolo. Molto più di un baritono, ci rammenta tutte le sfumature che il palcoscenico può offrire. Siamo davvero contenti di avere con noi questo artista così eclettico.

 

  1. Nasci come figlio d’arte, erede della famiglia d’arte Micheletti-Zampieri che ha dato vita alla Compagnia teatrale “I Guitti”. Cosa vuol dire crescere in un ambiente artisticamente così florido? Il tuo debutto in ambito teatrale è stato inevitabile?

Nascere e formarmi in una famiglia di attori e registi ha segnato sicuramente il mio destino. Ho quattro fratelli, non tutti si sono lasciati tentare dalla via del palcoscenico, ma per me, fin da bambino, è stato un polo d’attrazione invincibile. E non è mai stato solo un gioco; o meglio, è sempre stato un gioco molto serio. Un mestiere, fatto di responsabilità, di competenze da acquisire, regole da rispettare… ma incredibilmente stimolante. Il teatro ha il grande potere di creare mondi nuovi, realtà eccezionali, universi paralleli. Per il bambino che fui e per l’uomo che sono questa possibilità di esplorare altri universi resta una delle occasioni più irrinunciabili. Fin da piccolissimo i miei genitori, attori entrambi – e figli di attori da qualche generazione – mi abituarono alle tournée, alle regole della scena, ai suoi ritmi e ai suoi codici. Scegliere questa strada non è stato inevitabile ma, quando ho capito che volevo fosse anche la mia strada, certo partivo avvantaggiato.

 

  1. Al fianco dell’appartenenza diretta al mondo teatrale hai aggiunto anche lo studio accademico del Teatro all’università. Che apporto ha dato questo tipo di studi alla tua produzione artistica?

Non mi sono mai fatto bastare la formazione da scuola-bottega: la mia famiglia d’arte era un punto di partenza meraviglioso, ma non sufficiente. Ho affiancato per anni l’impegno in palcoscenico come attore e regista con lo studio universitario fino a conseguire il titolo di Dottore di Ricerca in Italianistica alla Sapienza Università di Roma. I miei studi, a quell’altezza, si concentravano in particolare sul teatro rinascimentale e sulle proibizioni che la Controriforma destinò all’attività teatrale in epoca tardo cinquecentesca. Temi e studi molto specifici che hanno formato il mio approccio alla creazione artistica, fatto ancor oggi di tanto studio, di confronto con diverse fonti, di ricostruzioni storiche. I libri – antichi e moderni – restano i miei fondamentali compagni di viaggio.

 

  1. La tua carriera da attore inizia con un riconoscimento importantissimo, il Premio Ubu del 2011 e quattro anni dopo il Premio Internazionale Luigi Pirandello. Che impatto hanno avuto su di te due premi così significativi?

Non direi che la mia carriera inizia col Premio Ubu; quando è arrivato, però, dopo anni di grandi fatiche “sotterranee” (come spiegavo, ho iniziato davvero giovanissimo), l’inatteso e illustre riconoscimento mi ha sicuramente motivato. Premi così importanti possono essere uno sprone a non mollare nei momenti più duri. Nel mio caso, non c’era questo pericolo, ma vedere riconosciuti e premiati i miei sforzi e i miei risultati a livello internazionale – e così precocemente (nel 2011 avevo 25 anni) – mi ha responsabilizzato ancor di più sul percorso che avevo scelto di portare avanti.

 

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