Siamo felici ed onorati di intervistare Gianna Fratta, famosa pianista e direttrice d’orchestra, diventata nel tempo uno dei personaggi di spicco come interprete e personaggio poliedrico nel panorama musicale. Nelle ultime settimane è stata impegnata al Festival Puccini di Torre del Lago e al Teatro Antico di Taormina.
1. Siamo sempre curiosi di partire da dove tutto è iniziato. Com’è nato il suo amore per la musica e perché il suo strumento prediletto inizialmente è stato proprio il pianoforte?
Non so come nasce un amore, forse per caso, ma posso dire come si sviluppa e si alimenta, come continua a vivere per sempre: frequentazione giornaliera, rigore, esercizio, disciplina, impegno, donarsi senza risparmiarsi, non avere fretta, crederci.
Ho cominciato da piccola a studiare pianoforte, uno strumento scelto dai miei genitori, in realtà, ma al quale mi sono legata subito, come probabilmente sarebbe accaduto con qualsiasi altro. Dopo tutto gli strumenti sono solo mezzi per esprimere se stessi, per confrontarsi con “la musica”. Pianoforte, violino, flauto… non avrebbe fatto molta differenza.
Col pianoforte è stato subito un rapporto esclusivo; lui mi ha insegnato a cadere e a rialzarmi, mi ha fatto capire chi ero, mi ha aiutato a migliorarmi, mi ha messo di fronte a me stessa. Io, dal mio canto, non ho mai smesso di tributargli un amore assoluto e senza compromessi.
Il pianoforte è oggi una parte del mio corpo, forse più della bacchetta. É un rapporto imprescindibile, un legame fortissimo e unico. Il più lungo della mia vita: da quando avevo cinque anni ad oggi. Ininterrottamente, ogni giorno.
Il pianoforte è il mio più importante mezzo di espressione, non solo verso gli altri, ma verso me stessa. Quando suono mi conosco, mi parlo, mi emoziono, penso, metto tutto quello che sono. Con la bacchetta c’è un tramite importante: l’orchestra (e, in molti casi, anche i solisti, i cantanti ecc.).
La bacchetta non suona. Il pianoforte sì. Bastiamo io e lui e questo, a volte, è estremamente gratificante e a volte tragicamente difficile. Ma è un rapporto vero, a due, che ti restituisce quel che gli dai. Matematicamente ed esattamente.
2. L’abbiamo vista impegnata nella direzione della Fanciulla del West a Torre del Lago: quali emozioni ha provato nell’essere presente a questo Festival e che rapporto ha con la musica di Puccini?
Ho provato una grande emozione, chiaramente, ma soprattutto ho sentito un grande senso di responsabilità, la responsabilità di dover rendere merito ad una partitura straordinaria e sui generis, moderna e perfino avanguardistica, incapace di esprimere una melodia e un accompagnamento laddove tutto è solo musica. La responsabilità di dover portare sulle spalle un capolavoro tra i miei prediletti e di riuscire a farlo con la consapevolezza, la convinzione eppure la leggiadria che servono per emozionare. La responsabilità, soprattutto, di dover fare questo nel più importante festival al mondo dedicato a Puccini e per di più di doverlo fare nella sua terra, a pochi metri da dove lui ha camminato, vissuto e scritto.
Per quanto riguarda Puccini, cosa posso dire? È il mio operista prediletto, lo amo al di sopra di tutti gli altri e lo considero il più moderno, intuitivo, emozionante. Non si può cambiare una nota della scrittura di Puccini, è perfetta. Nell’ultimo triennio ho diretto – spesso in varie edizioni – Butterfly, Bohème, Trittico, Turandot, Tosca. Non è mai successo che non mi sia nuovamente stupita e non abbia trovato nuove sfaccettature in quella scrittura magistrale, la cui immediatezza considero un pregio e non un limite.
E in questo caso parlo da compositrice e docente di composizione e analisi, prima che da direttrice d’orchestra.