Ambasciatore di Genova nel mondo. Uno tra i più importanti tenori italiani sulla scena internazionale. Uomo di straordinaria sensibilità ed in continua evoluzione. Si distingue sul palcoscenico per la sua estrema capacità di comunicare passioni e tormenti intimamente legati ai personaggi che interpreta. Per noi di OperaLife il tenore, definito come l’eroe romantico del melodramma, Fabio Armiliato.
- In famiglia non sei l’unico ad aver intrapreso la strada della musica. Quali motivazioni hanno spinto te e tuo fratello Marco verso questa direzione? Quanto i vostri genitori hanno contribuito al raggiungimento di questo obiettivo di vita?
Ho avuto la fortuna di avere in famiglia una grande passione per la musica, per l’arte e per la cultura. La musica lirica in particolare è una passione molto forte ed era presente anche nel tessuto connettivo della società negli anni 60/70: ascoltare la voce, capire il valore di un cantante d’opera (o anche di musica leggera) e apprezzarne le qualità è stata una di quelle passioni che ha aiutato l’Italia a riprendersi in fretta dopo la seconda guerra mondiale. Anche a casa mia si ascoltavano e si facevano i confronti tra i tenori: prima Gigli-Lauri Volpi, poi Di Stefano-Del Monaco e Corelli… la passione era molto forte e così sia io che mio fratello abbiamo intrapreso in modo diverso lo studio della musica e io poi del canto, unito a una grande voglia e il piacere anche di giocare nel vero senso della parola con la musica: di farla propria. L’educazione in famiglia, in questo senso, è fondamentale: soprattutto la guida all’ascolto, unita alla capacità di riuscire ad insegnare come capire e apprezzare le cose belle.
- Si dice che debuttare nella propria città natale sia tanto un onore quanto una responsabilità. La tua opera prima. Interpretare il Doge genovese Gabriele Adorno nel verdiano Simon Boccanegra andato in scena il 05 agosto 1984 a Savignone, sede dislocata in quel periodo del Carlo Felice. Quali sensazioni risveglia pensare a quel giorno e quanto quell’esperienza ha arricchito il tuo personale, intimo bagaglio di artista?
L’esperienza del debutto nel Simone Boccanegra ha avuto una valenza molto speciale nella mia formazione artistica. In quegli anni io lavoravo come artista del coro al Teatro Carlo Felice e quell’occasione mi ha messo realmente alla prova proprio di fronte a tutti i miei colleghi e ai colleghi dell’orchestra del teatro dove lavoravo. Ero molto giovane ed è stata una grandissima opportunità, perché mi ha dato modo di capire su cosa dovevo ancora lavorare, ma soprattutto è stata la molla che mi ha portato a credere ancora di più nel mio talento e nella possibilità di poter intraprendere una carriera nel mondo dell’opera. Ho trascorso successivamente ancora due anni lavorando nel coro, ma facendo nel frattempo anche altre esperienze fino al 1986, quando con La Vestale all’opera di Jesi ho iniziato la mia carriera continuativa con la produzione che inaugurava la stagione lirica del Teatro Pergolesi nella città marchigiana.