Palermitana d.o.c. e regina della coloratura e del bel canto. Acclamata in tutti i teatri del mondo, dal Teatro alla Scala alla Royal Opera House, dal Teatro Real di Madrid al natale Teatro Massimo, oggi per noi di OperaLife Desirée Rancatore, soprano dalle incredibili doti artistiche e dalla grande presenza scenica, si racconta.
- Quanto importante, nel tuo percorso artistico, è stata la figura di tua madre, di colei che ti ha indirizzato al canto e ti ha fatto conoscere questo meraviglioso mondo? Quale tra i suoi insegnamenti porti ancora nel cuore?
La mia mamma è stata ed è importantissima nel mio percorso artistico. A 16 anni è stata colei che mi ha insegnato tutto, come respirare, come emettere i suoni, la linea di canto, etc. … poi insieme alla mia insegnante di Roma, Margaret Baker Genovesi, son state in perfetta sintonia tecnica per il prosieguo della mia preparazione.
La mia mamma ha continuato a seguirmi e mi segue tutt’ora nel nuovo cammino di questo repertorio più maturo per la mia voce.
Studio anche con la sig.ra Mariella Devia con la quale ho preparato il mio debutto in Norma.
Porto gli insegnamenti di tutte e tre nel mio cuore, ognuna di loro mi ha dato tantissimo.
- A 16 anni le prime lezioni di canto e solo tre anni dopo il debutto a Salisburgo. Ripensando a quel giorno, quanto ti vedi diversa e quanto, invece, è rimasto identico oggi come allora?
Sì verissimo, in un anno e mezzo mi esibivo già in concorsi importantissimi come quello in cui ho incontrato il M° Gerard Mortier, che fu la persona che mi volle fortissimamente a Salisburgo, sia per il mio debutto sia nei cinque anni successivi, dando un’impronta internazionale alla mia carriera, e dandomi inoltre la possibilità di crescere ed imparare accanto a grandi artisti.
La Desirée di quell’epoca era tanto “incosciente” e spensierata, si divertiva proprio tanto. La responsabilità della carriera e il dover mantenere un adeguato livello negli anni, e di anni ne son passati 25 proprio quest’anno, ti toglie un po’ di quella incoscienza e spensieratezza.
Devo dire però che la voglia di divertirsi e l’incanto che provo ogni volta davanti al pubblico sono rimasti intatti e invariati.
- Il repertorio che finora hai affrontato comprende molte delle più grandi eroine del mondo della lirica. Quale tra esse hai sentito più vicine al tuo mondo ed in quale immedesimarsi è stato più difficile?
Sì, son stata e sono fortunata, ho cantato tanti ruoli meravigliosi ricchi di emozioni. Io cerco sempre di avvicinare me stessa al loro mondo portando qualcosa di mio in loro, è uno scambio. Non pretendo per forza che siano le eroine ad avvicinarsi a me, ma spesso son io che faccio il percorso emotivo per avvicinarmi a loro.
Non ho mai avuto grandi difficoltà ad approcciare un ruolo, perché ho sempre approfondito con cura l’aspetto psicologico del personaggio che insieme allo studio del libretto e dei “PERCHÉ”, a mio avviso fondamentale, mi hanno aiutata a fare miei quei personaggi.
Tra tutti forse Olympia, la bambola meccanica, che ho interpretato per più di 150 recite, all’inizio è stato il ruolo più complicato, non essendo un’eroina con vere emozioni; una volta capito però che la chiave di lettura doveva essere quella dell’autoironia, del prendermi tanto in giro, del divertirmi per prima e di ridere di me stessa, sono riuscita a far divertire il pubblico e a fargli fare quelle stesse grandi risate che mi facevo io studiando ogni faccia comica o movenza da dare a questo personaggio.