SOLITI A VEDERE IL REGISTA AL CINEMA, RIUSCIREMO AD ABITUARCI AL PERCORSO INNOVATIVO INTRAPRESO DALLA FONDAZIONE ARENA?

C’è chi mente, e chi almeno una volta nella vita è stato assorbito dal vortice Muccino. Sì, proprio lui, il Gabriele regista e sceneggiatore classe ‘67 che ogni due anni circa spopola al cinema con un racconto tutto nuovo, eppure così simile al precedente. E questa non vuole essere una critica, bensì una presa di coscienza del suo marchio di fabbrica. Quando pensiamo alle sue storie non possiamo far altro che ripeterci che sono vere. Qualcuno, infatti, lo ha definito come un nuovo verista. Come se d’improvviso l’Italia (e non solo, considerando che è uno dei primi registi ad aver fatto fortuna soprattutto in America, lavorando con artisti come Will Smith) si fosse svegliata col bisogno di qualcuno che narrasse la vita alla maniera di Verga e Capuana sul finire dell’Ottocento: con maggiore aderenza alla realtà sociale, creando personaggi umili e rendendo appieno il loro universo psicologico e linguistico.

Fresco di una nuova pellicola uscita nelle sale a febbraio, Gli anni più belli, e indimenticabile per il commovente La ricerca della felicità, Muccino è pronto a debuttare inaspettatamente all’Arena di Verona, alla regia di Cavalleria Rusticana e Pagliacci. E qui il verismo c’è tutto: basti pensare, nella Cavalleria, alla gente semplice, alle attese infinite sfociate in matrimoni e relazioni “di consolazione”, alla gelosia e ai tradimenti, all’onore e ai duelli per ristabilire l’ordine. Per non parlare delle maschere di Pagliacci, che altro non sono che uno squarcio di vita, un pro-forma sotto cui compaiono uomini veri, che si cibano di passioni e sofferenze autentiche, di rabbia e rancori.

LEGGI TUTTO L’ARTICOLO