“Con nessun’altra delle sue opere, neppure con il Nabucco, Verdi toccò così rapidamente il cuore del suo pubblico”.
Abbiamo parlato di Rigoletto ed è giunto il momento di presentarvi “Il Trovatore”. E’ stata scritta nel 1852 e rappresentata al Teatro Apollo di Roma un anno dopo; il soggetto è quello del dramma “El Trovador” di Antonio García Gutiérrez, grande autore del teatro romantico spagnolo al quale Verdi ricorse anche pochi anni dopo per il suo Simon Boccanegra.
Tutti noi siamo portati a pensare che il vero soggetto, Trovatore, sia posto al centro dell’azione, visto il titolo di questo capolavoro; ovviamente è vero anche se l’intenzione di Verdi era principalmente un’altra. Lo vediamo in questa lettera indirizzata al librettista, Salvadore Cammarano:
“L’argomento che desidererei proporvi è El trovator. A me sembra bellissimo, immaginoso e con situazioni potenti. Io vorrei due donne: la principale, la Gitana, carattere singolare, e di cui ne farei il titolo dell’opera, l’altra una comprimaria.”
Il Maestro parlava di Azucena, la zingara, figura cardine in questo dramma considerata la drammatica vicenda che inizia 20 anni prima dei fatti narrati. Ovviamente le intenzioni di Verdi nel rendere Azucena un donna forte e divisa tra amor filiale e amor materno erano diverse da quelle di Cammarano: egli infatti vedeva nel comportamento di Azucena una vena fortemente tragica e folle. Verdi invece ne voleva fare un personaggio consapevole della sua vendetta, in conflitto, ma non pazza e raccomandava al librettista: “Non fare Azucena demente. Abbattuta dalla fatica, dal dolore, dal terrore, dalla veglia, non può fare un discorso seguito. I suoi sensi sono oppressi ma non è pazza. Bisogna conservare fino alla fine le due grandi passioni di questa donna: l’amore per Manrique e la feroce sete di vendicare la madre. Morto Manrique, il sentimento della vendetta diviene gigante, e dice con esaltazione…”Sei vendicata, o madre!””
In questo, Il Trovatore puo’ essere considerata un’opera tutta al femminile: l’amore delle due donne del dramma, Azucena e Leonora ruotano intorno a questo romantico personaggio.
Una curiosità riguarda la traduzione del dramma originale di Garcia Gutiérrez: nonostante in Spagna avesse ottenuto un successo enorme, non fu mai tradotto in italiano. Fu così che Verdi se lo fece tradurre da Giuseppina Strepponi, sua compagna.
Divisa in quattro parti (o atti), ognuno di questi porta un nome: Il duello, la gitana, il figlio della gitana e il supplizio. Siamo in Spagna, all’inizio del XV secolo: dalla prima scena scopriamo dal racconto fatto da Ferrando, il capitano delle guardie, cio’ che avvenne 20 anni prima e presto capiamo da che sentimento Azucena sarà guidata fino agli ultimi attimi della sua vita. Compare Manrico il “figlio della gitana” che figlio naturale non è: il tragico avvenimento che si verificò molto tempo prima vide la morte del vero figlio della zinagara, lanciato tra le fiamme di un rogo. Errore fatale perché il piccolo destinato a questo tragico destino doveva essere Manrico. Fu così che quest’ultimo crebbe in un accampamento di zingari ignaro delle sue vere origini. Di Manrico si innamorerà Leonora, giovane nobile della quale si era invaghito, a sua volta, il Conte di Luna, fratello naturale di Manrico. Come Azucena vuole a tutti i costi vendicare la mamma morta molto tempo prima (motivo per il quale aveva rapito il piccolo Garzia, ora Manrico), il conte di Luna vuole vendicare il fratellino morto (non sapendo, in realtà fosse ancora in vita).
Fine tragica per i tre protagonisti: Leonora, pur di salvare la vita di Manrico, arrestato e condannato a morte, deciderà di concedersi al Conte di Luna; in realtà, la giovane berrà del veleno e poco prima di morire, comunicherà a Manrico e Azucena che verranno presto liberati. Al rifuito di Leonora di seguire l’amato egli presume un tradimento da parte sua ma, morente, la nobildonna gli rivela di essersi avvelenata per rimanergli fedele (e non concedersi al conte di Luna).
Questi, nella torre, assiste alla scena e ordina di guistiziare il trovatore. Azucena, rinvenuta, seppur nella disperazione, indica al conte che colui che aveva appena ucciso era suo fratello; l’opera si concludue con l’urlo straziante «Sei vendicata, o madre!»
Il Trovatore è un’opera forte ricca di dinamiche e di avvenimenti, però non smette mai di portarci nel magico mondo dei sentimenti.
L’Opera è vita. L’Opera siamo noi.
Lavinia Soncini