Il Teatro alla Scala di Milano, per l’apertura della stagione il giorno 7 dicembre, proporrà una nuova produzione di “Boris Godunov” del compositore russo Modest Mussorgskij.
Il 25 ottobre è stata promossa una petizione online firmata da circa 800 persone – un fallimento – per far rimuovere il titolo dal cartellone. Si è aggiunta di recente una lettera del console ucraino a Milano (Andrii Kartysh) destinata direttamente al Sovrintendente del Teatro Dominique Meyer, al Presidente della Regione Lombardia e al Presidente della Fondazione Scala. Il console, con tale lettera, ha manifestato il suo dissenso per la programmazione della prima del 7 dicembre, accusando il Teatro di essere troppo aperto alla cultura russa alla luce degli avvenimenti sul fronte di guerra. Kartysh chiede di “rivedere il programma della stagione al fine di bloccare eventuali elementi propagandistici”. Si tratta solamente dell’ultimo esempio di come la guerra possa riflettersi sugli artisti (e come si vorrebbe, addirittura, sulla programmazione dei cartelloni dei teatri).
La questione, com’è risaputo, non risulta affatto nuova: già negli scorsi mesi il Teatro alla Scala è stato luogo di alcune dispute che hanno visto la sostituzione di Gergiev per le recite de “La dama di Picche”. Il direttore russo, sostenitore del presidente Putin, non aveva risposto alla richiesta del Teatro di schierarsi contro la guerra, e per questo motivo è stato ritenuto opportuno l’allontanamento. Gergiev è finito al centro della polemica ed è stato minacciato non solo dal Teatro alla Scala, ma anche da altri. Caso simile quello della Netrebko, che in marzo avrebbe dovuto vestire i panni della protagonista in “Adriana Lecouvreur”, ma che non si è presentata alle prove rifiutandosi di cantare. Forte la motivazione della Netrebko: pur dichiarandosi contro il conflitto ha scritto sui social “non è giusto costringere un artista a denunciare la sua patria”.