Abbiamo spesso detto che l’Opera affonda le proprie radici esattamente nel nostro Belpaese, che è stata tutta invenzione nostra, non a caso di lingua italiana, ed è da questa che oggi partiremo.
Dobbiamo tornare indietro di parecchio, precisamente intorno alla seconda metà del Cinquecento. All’epoca, si disquisiva circa l’esigenza di ritornare alle buone e vecchie abitudini compositive che prediligevano l’uso della monodia accompagnata (ossia una semplice melodia con il solo accompagnamento di uno strumento, spesso a pizzico), eccellente “mezzo” capace di commuovere e sconvolgere l’animo umano totalmente, in netta contrapposizione al Madrigale, genere polifonico (dal greco, indica molteplicità di suoni, più voci insieme), che iniziava ad imporsi in quel periodo e che aveva come principale esponente il compositore cremonese Claudio Monteverdi.

Di cosa si tratta, dunque?

Lo stesso Monteverdi preferiva, da parte sua, chiamarlo parlar cantando. E questa la dice lunga sulla sua voglia di “naturalezza”, parlare, discorrere.
Togliamo subito un piccolo dubbio: Recitar cantando, non cantare recitando. È teatro che piega la musica a farsi recitazione, teatro, questo vuol dire che la musica deve farsi serva dell’orazione.
Se manca la recitazione, manca infatti anche la musica. Il testo si fa canto, melodia, perché la melodia è già contenuta nel verso.

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