Due chiacchiere con il Direttore

 

Abbiamo parlato spesso dei pregiudizi di cui l’Opera è vittima, dal genere musicale per “vecchi” al fraseggio “incomprensibile”. Ci siamo concentrati molto, durante questi anni, sull’analisi di come l’Opera fosse percepita dal grande pubblico, in particolare quello giovane, e abbiamo cercato, attraverso i nostri canali, di sfatare tutti i miti che questo genere musicale si porta dietro da tempo. Quello che abbiamo analizzato poco, però, sono i pregiudizi e gli stereotipi che caratterizzano l’Opera dal suo interno. Perché se è vero che il mondo esterno non è inclusivo a volte, è anche vero che il mondo del teatro non è sempre disposto ad aprire le porte.

I retaggi culturali dell’ultimo secolo fanno fatica a lasciar posto ai tempi moderni, dove la parola d’ordine è “inclusività”. Ma il teatro, ad oggi, non è inclusivo. Molte volte vive ancora dei lustri del passato, degli scintillii dei tempi andati e dell’élite che ha contribuito a rendere l’Opera un genere “per ricchi”. Questa riflessione non vuole puntare il dito o cercare colpevoli, ma vuole invitare a ragionare sullo stato attuale delle cose. Il teatro è davvero pronto ad aprire le porte a realtà come la nostra? Non solo, è davvero deciso a raggiungere un pubblico più ampio, costituito anche da giovani che viaggiano su frequenze diverse rispetto al passato? È davvero pronto ad accogliere in platea gente dai capelli colorati, piena di piercing e tatuaggi? Di questo, al momento, io non sono sicura, ma sono sempre pronta a confrontarmi e a sentirmi dire che mi sbaglio.

 

 

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