Giovanni
Molte opere, anche quelle che oggi sono tra le più rappresentate, hanno visto un enorme insuccesso alla loro prima rappresentazione. Una di queste, l’opera che oggi conta più rappresentazioni di tutte, è “La traviata”, presentata alla Fenice di Venezia il 6 marzo 1852, con un fiasco clamoroso. Ma cosa accadde quella sera? Di chi fu la colpa? Degli interpreti, della musica o del pubblico? Sicuramente il problema non fu la musica, anche se sappiamo che Verdi la modificò leggermente, ma senza rimuovere o sostituire pezzi. Il compositore stesso scrisse a De Sanctis ai tempi della ripresa al San Benedetto: “Sappiate addunque che la Traviata che si eseguisce ora al S. Benedetto è la stessa, stessissima che si eseguì l’anno passato alla Fenice, ed eccezione di alcuni trasporti di tono, e di qualche puntata che io stesso ho fatto per adattarla meglio a questi cantanti: i quali trasporti e puntature resteranno nello spartito perché io considero l’opera come fatta per l’attuale compagnia. Del resto non un pezzo è stato cambiato, non un pezzo è stato aggiunto, o leato, non un’idea musicale è stata mutata. Tutto quello che esisteva per la Fenice esiste ora per il S. Benedetto. Allora fece fiasco: ora fa furore. Concludete voi!!”. Il “concludete voi” del Maestro fa capire che la colpa dell’insuccesso fu dei cantanti e anche del pubblico, che non era riuscito a comprendere il significato dell’opera e in particolare quello del personaggio di Violetta. Probabilmente si trattò di una carenza sotto questo punto di vista, perché gli interpreti, Salvini Donatelli, Graziani e Varesi (rispettivamente Violetta, Alfredo e Giorgio Germont), erano considerati ottimi artisti, in particolar modo Varesi, che Verdi aveva voluto per altre opere. Nell’anno che passò tra la prima alla Fenice e la ripresa al San Benedetto, il pubblico veneziano e la critica dell’epoca avevano sicuramente avuto modo di riflettere sul messaggio che il compositore voleva trasmettere e l’opera acquistò per loro un significato diverso, meritevole di lunghi applausi e chiamate al compositore.
Verdi vide una parte dei suoi lavori essere accolti in modo freddo, (“Alzira”, “I masnadieri” e altre) se non addirittura con contestazioni, ma io penso che non dovremmo biasimare la critica e il pubblico del tempo, perché molti lavori considerati secondari e offuscati dalla luce dei grandi capolavori, solo dopo aver visto l’arco compositivo e drammaturgico che condusse il Maestro e la maturazione del suo modo di fare musica e teatro, possono essere giudicati. Ripeto che all’epoca queste considerazioni non si potevano fare e perciò credo che sia giusto mettersi anche nei panni della critica e giustificare la loro durezza nei confronti dei compositori, critiche e consigli che penso furono in parte anche costruttivi per Verdi.