Ben tornati lettori, nel mio precedente articolo vi avevo parlato della figura del cantante e della sua evoluzione da Cantore a Cantante professionista. Nel farlo vi avevo citato la figura dei Castrati, e oggi vi parlo del più importante cantante castrato della storia, Carlo Maria Michelangelo Nicola Broschi, detto Farinelli (1705-1782). Alla morte del padre, probabilmente per volere del fratello, Carlo subì la castrazione e venne mandato a Napoli a studiare con Niccolò Porpora. La sua tessitura vocale potrebbe più correttamente essere definita di mezzosopranista molto esteso, sia verso il basso, fino a toni da contralto profondo (Vinci gli fa toccare il do2, nota tenebrosa per una voce bianca), sia verso l’alto dove arrivava, nei vocalizzi, a toccare il do5, nota da sopranista effettivo.

L’impegno giornaliero riportato da Sandro Cappelletto critico musicale italiano è il seguente: “[…] al mattino, un’ora di passaggi di difficile esecuzione, un’ora di lettere, un’ora di esercizi di canto davanti allo specchio per apprendere i vantaggi della parsimonia e i rischi dell’abbondanza nei gesti e nelle espressioni da fare in scena: un’algida stilizzazione che si accompagnava all’inverosimiglianza dei costumi, alla più capricciosa libertà dell’interprete. Al pomeriggio, ancora studio: mezz’ora di teoria musicale, mezz’ora di contrappunto improvvisato su un cantus firmus, […] un’ora di lettura dei libretti che gli allievi avrebbero poi dovuto intonare: esercizio finalizzato ad esprimere e rivelare attraverso il canto il significato segreto delle parole, ad imparare quali aggettivi richiedessero il furore o l’abbandono, nel cementificato ventaglio di affetti previsto dalla retorica corrente. Infine, prima e dopo e sempre, un gran daffare attorno all’arte della respirazione per imparare a dilatare e riempire d’aria il mantice della cassa toracica […].”

Debuttò a Napoli a quindici anni, poi si esibì non solo in patria ma anche a Londra, Vienna e Madrid. Arrivò a Londra per la stagione operistica 1734-1735 della compagnia rivale di Handel, l’Opera della Nobiltà, e non cantò mai sotto la direzione di Handel, anche se per quella compagnia si esibì nell’Ottone handeliano.

Burney, compositore, organista e storico della musica inglese dell’epoca, ci descrive il suo arrivo: “nella prima prova privata, nella stanza della Cuzzoni, Lord Cooper, l’allora direttore principale dell’opera con Porpora notò che l’orchestra non lo seguiva, ma tutti erano trasognati con la bocca aperta, come se cadesse un raggio, chiese loro che prestassero attenzione; tutti confessarono che non erano capaci di seguirlo: che non erano rimasti solo inabilitati per lo stupore, bensì soggiogati per il suo talento”, continua a dire, “la forza, estensione e toni melliflui” della sua voce; la rapidità della sua coloratura, e, in questione, la sua “messa di voce, o impostazione”. Superava tutti gli altri cantanti e stupiva il pubblico: “per la formazione naturale dei suoi polmoni, e l’economia artificiale nella respirazione, era capace di prolungarla in tale misura come per suscitare perfino l’incredulità di quelli quale lo sentivano; chi, benché incapaci di scoprire l’artificio, immaginavano che si serviva da qualche strumento col quale il tono si manteneva, mentre egli rinnovava i suoi poteri respirando.”

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