Attendevo da mesi l’approdo del Falstaff di Verdi al Teatro Regio di Torino, sia per la qualità dell’opera che per l’interprete principale, le cui gesta seguivo da un po’ di tempo: Carlos Álvarez.

La prima di questo capolavoro andò in scena il 9 Febbraio 1893 alla Scala; il compositore aveva quasi ottant’anni e si convinse a ritornare a comporre dopo un lungo silenzio. Invece di chiudere con la tragedia dell’omicidio-suicidio dell’Otello decise di chiudere con un’opera comica. Boito gli scrisse, quattro anni prima: “C’è un modo solo di finire meglio che coll’Otello ed è quello di finire vittoriosamente col Falstaff. Dopo aver fatto risuonare tutte le grida ed i lamenti del cuore umano finire con uno scoppio immenso d’ilarità”.

Curiosamente, il motore che genera l’azione è lo stesso per entrambe queste opere, la passione per eccellenza: la gelosia. Nel primo caso essa è un’idra fosca, devastatrice, nel secondo invece la visione di Verdi cambia radicalmente; l’uomo è maturato prima ancora come persona che come artista.

Tutta la vicenda è come vista dall’esterno, da in alto, molto in alto. Il compositore non si appassiona più alle vicende umane ma le osserva distaccandosene con saggezza senile, comprensiva, bonaria e quasi intenerita. Tutto l’agire umano assume quindi l’aspetto di un inutile gesticolare, un affannarsi egocentrico; le passioni umane sono solamente piccole turbe, il palpito stesso di un qualcosa di più grande ed altrettanto incomprensibile. Un teatro di burattini, le cui fila sono mosse da qualcuno o qualcosa di invisibile ed imperscrutabile; “Tutto nel mondo è burla” recita la fuga finale.

I momenti comici non mancano certo, due burle ai danni del protagonista e svariati suoi monologhi, tra cui il “Va’, vecchio John” nel quale egli crede di essere ancora piacente; senza contare gli elogi alla sua proverbiale pancia. Ma. Un Ma c’è sempre, soprattutto in un’opera profonda e densa di significati come il Falstaff. Ed il Ma arriva nel momento a mio avviso centrale di tutta la composizione. Dopo essere stato umiliato e gettato in un cesto per bucato dentro le acque del Tamigi, il vecchio John intona:

Io, dunque, avrò vissuto tanti anni, audace e destro
cavaliere, per essere portato in un canestro
e gittato al canale co’ pannilini biechi,
come si fa coi gatti e i catellini ciechi.
Ché se non galleggiava per me quest’epa tronfia,
certo affogavo. Brutta morte. L’acqua mi gonfia.
Mondo reo. Non c’è più virtù. Tutto declina.
Va’, vecchio John, va’, va’ per la tua via; cammina
finché tu muoia. Allor scomparirà la vera
virilità del mondo. Che giornataccia nera!
M’aiuti il ciel! Impinguo troppo. Ho dei peli grigi.

13 falstaffGià, non c’è più virtù in questo reo mondo, tutto declina, si ingrassa ed imbiancano i capelli.
A me il Falstaff fa sempre uno strano effetto. Sento tutta la caducità dell’esistenza, il vano ed inutile dimenarsi. Ed il comico diventa amaro, troppo amaro.

Durante l’attesa prima dell’inizio dello spettacolo osservavo le tre signore anziane davanti a me, due delle quali camminavano grazie ad un bastone. Improvvisamente mi sono vista al loro posto, tra trent’anni, e sono stata presa dall’angoscia, da un profondo panico. Per la prima volta nella mia vita ho provato il terrore cieco e violento di invecchiare. Mi sono resa conto che presto non avrei più potuto contare sulle migliori carte in mio possesso al momento: giovinezza, entusiasmo, bellezza (insomma, quella più o meno…) e soprattutto il tempo. Allucinante. Ho tentato quindi di reprimere le mie sensazioni e di concentrarmi sullo spettacolo.

Álvarez è stato semplicemente meraviglioso. Vocalmente irreprensibile, suadente, emissione perfetta, accento efficace, fraseggio curato. Interpretazione molto intelligente la sua; invece di esagerare il personaggio rischiando di farne una caricatura, ne ha reso gli eccessi più tenui e sfumati, umanizzando ed avvicinando John ad ognuno di noi.
Ecco, è stato esattamente quello che mi ha fatto crollare. Nell’intervallo qualche lacrima è scesa, non ho potuto trattenermi e non mi vergogno a dirlo. Ho pensato a voi, giovani lettori di OperaLife, mi sono detta che avrei scritto un articolo su questa mia esperienza, per rendervi partecipi, per ammonirvi e per esortarvi. A cosa? A vivere appieno, come vi chiedo sempre. Sempre a fondo, sempre lottando per ciò che desiderate, amando e soffrendo senza sconti. Non fatevi mai ingabbiare, limitare, rinchiudere da niente e da nessuno. Come direbbe il buon vecchio Sir Falstaff: “Va’, vecchio John, va’, va’ per la tua via; cammina finché tu muoia” . Auguro ad ognuno di voi la migliore via possibile, la vostra via.

Samuela Solinas