Con questa “serie di articoli”, se così si può definire, intendo raccontarvi le varie emozioni che si vivono quando si è in scena: dalle comparse ai cantanti solisti. Iniziamo proprio dai figuranti, cominciamo da me stesso. Premetto che prima di capitare, oserei quasi dire imbattermi, sul palco dell’Arena di Verona ho avuto il piacere di esibirmi in altre scene come atleta e come musicista, alle volte insieme ad altre 40-50 persone, talvolta con 3-4 colleghi in spazi più o meno grandi davanti ad un pubblico più o meno numeroso. Avevo 7 anni la prima volta che mi sono esibito: saggio di fine anno dell’Accademia d’Arte Circense. Dopo 12 anni eccomi in Arena alla première della stagione lirica 2016 con Carmen, regia del M. Zeffirelli.

Première” è sinonimo di “sold out” in Arena, dal palcoscenico si vede un muro di 12-13mila persone che arriva fin dietro i sipari, ti circonda quasi completamente, e quelle persone guardano dove sei tu; magari qualche anima osserva proprio te. Cammini in silenzio insieme ai tuoi colleghi per andare a posizionarti al tuo posto. Applausi. Ti senti un po’ gladiatore. Automaticamente non esistono più i tuoi soci, se non per un “in bocca al lupo”. Sei tu e “quella folla”. Ma prima ancora sei solo con te stesso. Ti senti un bambino di 7 anni che ha paura di sbagliare perché, inevitabilmente, ogni volta che ti esibisci, il pubblico, anche se è poco numeroso, crea suggestione. Non pensi nemmeno alle innumerevoli esperienze “simili” passate: è come se salissi su un palco per la prima volta (è così ogni volta che vado in scena), inizialmente ti senti solo… con tutte le tue paure che sai di dover affrontare. Ti posizioni al tuo posto, che, ironia vuole, è il più vicino possibile al pubblico, e inizi a guardare le 1e file della platea (da dietro i sipari si vede tutto come se quei teli non ci fossero): gente importante… potrebbe esserci il tuo idolo ma non te ne accorgeresti nemmeno dall’agitazione (non è proprio il mio idolo, ma stimo tantissimo Jeremy Clarkson, che era seduto tra il pubblico in una delle recite). Li guardi backstage4lo stesso. Li fissi. Immagini che quelle persone ti stiano sfidando. Vogliono vederti scappare o fare una figuraccia per poi ridere di te. Entra il direttore d’orchestra. Applausi. Non ricordo nemmeno se il pubblico si sia alzato in piedi o meno. L’orchestra inizia a suonare l’overture. Pare interminabile… sei sempre immobile e sempre fisso a guardare le prime file. Finisce l’overture. Breve quarto di pausa infinitamente lungo: pensi a quanto è fortunato il tuo Te di mezz’ora prima che è in camerone a scherzare o a giocare a carte con i colleghi. Via i sipari.

Mi faccio coraggio.
Sorrido.
So di potercela fare, e penso “rock’ n’ roll!!!

Inevitabilmente durante i minuti e gli istanti precedenti a qualsiasi show ripensi alle innumerevoli prove: il brano, i movimenti, i tempi, la variazione della seconda strofa o l’obbligato pre-ritornello e sai tutto perfettamente a memoria. Ora non ricordi nemmeno il tuo nome. Ma inizi a muoverti sul palco senza pensarci, come hai sempre fatto in prova; ricordi quello che i registi t’hanno ripetuto fino allo sfinimento: “Dovete raccontare una storia! Siete persone vive”. Il problema: ora sono un operaio, tra un’ora sarò un operaio ubriaco che deve cadere (spiaccicarsi al suolo per l’esattezza) come se fossi veramente ubriaco (senza farsi male), tra due ore invece sarò un contrabbandiere e tra tre, uno dei toreri acclamati dalla folla in festa. Ma comunque devi essere una persona vera, devi essere vivo! E non un tizio dentro un costume. Certo, capitano le “serate no” dove ti senti solo un tizio dentro al costume e andresti volentieri a casa maledicendo tutto e tutti: si bruciano le valvole del tuo amplificatore, il pubblico è mediocre e poco numeroso, al chitarrista si spaccano le corde nel bel mezzo dell’assolo, t’ha lasciato la morosa, sbagliano a darti il segnale d’ingresso, sbagli tu l’ingresso, non c’è il tuo compagno con cui devi fare la “scenetta di vitale importanza” e tutto quello che volete. backstage2La serata può andare male per infiniti motivi, per colpa tua, degli altri, del caso o del meteo. Non importa di chi sia la colpa. Solisti, orchestra, coro, ballo, comparse, registi, sarte, truccatrici, macchinisti, ecc… siamo tutti sopra la stessa barca: si vince e si perde da squadra.

Ma è proprio nei momenti difficili che vedi la bravura e le qualità delle persone sul palco: anche se magari non migliorerai lo spettacolo, perché forse rovinato in partenza, ma ci provi lo stesso e rendi il 120%, allora, il TUO SHOW sarà stato un grande show… anche se forse nessuno lo noterà ma l’importante è che lo sappia tu. Solo quando dai oltre te stesso la tua performance sarà stata impeccabile e così avrai vinto il “pubblico che ti vuole male” e la tua paura! Avrai superato te stesso e non c’è cosa più ardua e onorevole al mondo! Vedere il solista che canta la tua aria preferita ad un metro da te è bellissimo e anche un privilegio, ma quello che in assoluto amo dell’opera è che è fatta di persone, ognuna con i suoi problemi, ma che lottano insieme perché ogni recita sia un grande spettacolo. Ogni rappresentazione sarà sempre diversa dalla precedente, perché il fattore umano è alla base di questa grande macchina. Vedere tutti sul palco che raccontano una storia: la loro storia. E sicuramente anche loro hanno le tue stesse paure. Ma se sei su un palco, un motivo c’è! Non ci capiti per caso. E sei preparato a risolvere ogni problema che potrebbe capitare. L’opera è fatta di persone: l’opera è viva. Ora potreste dire “Max il palco è la tua vita” ma vi fermo subito: il palco non è la mia vita, la mia vita è un “palco”: è l’occasione che ho per dimostrare chi sono, sia in scena, sia con la poesia o con queste righe. Sono convinto che ogni show sia una versione in scala della vita e che ti insegni qualcosa. Sul palco ho imparato tante cose importanti, tra cui, l’importanza del gioco di squadra, non arrendermi mai, affrontare le mie paure, ma soprattutto abbattere i miei limiti.

Per salire sul palco vengono richieste certe doti e, in primis, tanto coraggio, ma non dite “io non ci riuscirei mai” perché se ce l’ha fatta quel bambino di 7 anni, allora potete farcela anche voi!

Massimiliano Mazza