Un’opera grandiosa, monumentale, la terza ed ultima che Giuseppe Verdi scrisse per l’Opera di Parigi: “Don Carlos”.
Le due precedenti furono Jerusalem (rifacimento de “I Lombardi alla prima crociata”, datata 1847), e “Les Vêpres siciliennes” (1855); “Don Carlos” ebbe la sua Prima l’11 marzo 1867.
Ambientato in Spagna durante il periodo dell’Inquisizione si presenta in cinque atti, in lingua francese e su libretto di Joseph Méry e Camille du Locle. La caratterizza una gestazione abbastanza impegnativa: l’opera fu tradotta in italiano da Achille De Lauzières e rimaneggiata a più riprese; la prima in italiano infatti, avvenne nel Regno Unito, al Royal Italian Opera (l’attuale Royal Opera House di Londra) il 4 giugno dello stesso anno.
La prima italiana invece fu al Teatro comunale di Bologna, il 27 ottobre.
Verdi comunque modificò il libretto più volte a partire dal 1872 ma saranno le modifiche di Du Locle stesso che porteranno, nel 1884, alla rappresentazione dell’opera in quattro atti invece che cinque (verrà eliminato il primo atto, del tutto).
Il compositore scrive: “il Don Carlos è ora ridotto in quattro atti, sarà più comodo, e credo anche migliore, artisticamente parlando. Più concisione e più nerbo”.
Due anni dopo però, si pentì del drastico taglio e rimaneggiò ancora una volta l’opera: il 29 dicembre 1866 va in scena, nell’attuale Teatro comunale Luciano Pavarotti di Modena, una versione in italiano in cinque atti (senza comunque le danze presenti nella versione francese).
Chiaramente, il contatto con il genere del grand-opéra portò Verdi ad una maturazione sotto il punto di vista strutturale e ad un diverso impiego del materiale strumentale: trascorsa più di una decina d’anni dalla composizione della Trilogia popolare inoltre (Rigoletto, Trovatore e Traviata), si riscontra una ricerca ed un progressivo perfezionamento del delineamento dei profili psicologici dei personaggi.
Filippo II è la personalità più negativa in assoluto nonostante nasconda un lato patetico, mesto; la figura del Grande Inquisitore è l’arbitro dei destini di tutti, Don Carlos ed Elisabetta di Valois sono i due innamorati: lei rassegnata all’infelicità, lui dotato di uno slancio decisamente impulsivo.
Massimo Mila scrive: “Mai Verdi si è tanto inoltrato nell’esplorazione dei misteri più sottili dell’anima, come nella descrizione dell’amore colpevole e soffocato fra Don Carlo e la giovane matrigna”.
Infine, Rodrigo e la Principessa Eboli sono personaggi determinanti all’interno della vicenda.
Vediamo, quindi, come i contrasti personali incontrano conflitti di natura storico-politica: non poteva essere diverso data la complessità del testo (il libretto è tratto dall’omonima tragedia di Friedrich Schiller) che vede nella figura di Rodrigo, marchese di Posa, il simbolo della libertà e della tolleranza, in opposizione al cieco assolutismo di Filippo II.
Si tratta di un lavoro che incarna perfettamente lo spirito pre-romantico dello “Sturm und Drang”, un movimento culturale che contribuirà alla nascita del Romanticismo tedesco (l’opera di Schiller è stata pubblicata nel 1787).
Tornando all’opera, un tema però, domina su tutti gli altri ed è forse quello più caro a Verdi: la continua, disperata ricerca di una soluzione a un dilemma da sempre presente nella cultura occidentale, ossia il conflitto fra il dovere pubblico e la libertà individuale, il diritto di cercare la propria felicità; nel Don Carlos, questo, si risolve nella scelta consapevole dell’infelicità: Elisabetta si piega alla ragion di stato, accetta di sposare Filippo II, rinunciando all’amore per Don Carlo.
Lavinia Soncini