Un team creativo di donne dà vita all’opera che non riuscì mai a varcare la soglia del San Carlo.
Reduce dal primo allestimento scaligero di Lucrezia Borgia (26 dicembre 1833) Gaetano Donizetti cerca di far rappresentare la sua ultima opera al Teatro San Carlo, tra impensabili rifacimenti e cambiamenti, con il titolo di “Dalinda”. Respinta nel 1838 dalla feroce censura napoletana e mai eseguita. Fino allo scorso 14 maggio, quando le note della partitura di “Dalinda” hanno risuonato per la prima volta nella Großer saal della Konzerthaus di Berlino (orchestra e coro del Berliner Operngruppe, diretto da F. Krieger).
Un’avventura spiccatamente al femminile quella della prima mondiale di Dalinda a Berlino, in cui un team creativo di donne (Giulia Randazzo, Giulia Bellé, Gaia Tagliabue) ha dato vita alla storia mai raccontata della figlia del capo supremo della feroce setta ismailita degli Assassini. Lidia Fridman (nel ruolo del titolo) è la prima soprano a dar voce a questo personaggio vittima di un contesto tutto maschile, che ha come sfondo la guerra tra fondamentalisti cristiani e islamici durante la terza crociata. Merito di un’altra donna (Eleonora Di Cintio) che dopo aver scoperto il manoscritto inedito, recuperato quasi tutte le parti sottratte e averlo ricomposto, ci restituisce il melodramma nella sua integrità, mettendolo in condizione di essere finalmente rappresentato dopo quasi duecento anni dalla sua nascita.
“Dalinda” eredita buona parte della musica e della storia da Lucrezia Borgia. Donizetti tuttavia sposta la sua eroina dall’Europa all’antico impero persiano (la maggior parte delle azioni si svolge nell’odierna provincia di Tehrān). Questo contesto geografico è quello che contribuisce in maggior misura a fare di Dalinda una nuova opera e a conferire alla sua protagonista un’identità peculiare.