L’Opera è un meccanismo teatrale complesso che ruota attorno a tre nuclei: musica, poesia e scena. Un regista che si appresta a mettere in scena un’opera poco può fare con i primi due: le parole e la musica sono oramai binomio inscindibile e non si contemplano modifiche di nessun tipo. Egli può quindi sbizzarrirsi, aiutato dallo scenografo, per quanto riguarda la messa in scena dello spettacolo: il carattere effimero di quest’ultimo nucleo fondamentale consente infatti continue riproposizioni, modifiche, aggiunte, purché non si vari l’operato di librettista e compositore.
Innumerevoli registi nel tempo si sono confrontati con i titoli del repertorio, dando ogni volta apporti nuovi e personali, ma pochi sono riusciti a dare contributi di alta qualità, che riuscissero a fare di testo, musica e scena un tutt’uno capace di restare, anche a distanza di anni, sui palchi e nelle menti (e nei cuori) degli spettatori.
- Aida, Franco Zeffirelli: il nome Zeffirelli nel mondo dell’Opera si associa a fedeltà, storia e ricchezza delle ambientazioni e la sua Aida non è da meno. Grandi masse corali in scena, costumi sgargianti e sensibilità marcata per l’aspetto visivo, sono i caratteri principali di questa messinscena, che trova nell’Arena di Verona il palco migliore per essere rappresentata. Come non stupirsi davanti a questa scenografia, che ci porta indietro nel tempo per quasi tre ore?
- Via lo sfarzo dei salotti parigini, via i ricchi abiti delle dame, via ogni accenno al XIX secolo: quello che resta è una Traviata in una dimensione atemporale, in uno spazio quasi irreale. La più celebre opera di Verdi, andata in scena con la regia di Willy Decker nel 2005 al Festival di Salisburgo e da allora ripresa con regolarità dal Metropolitan di New York potrebbe quasi deludere i puristi dell’Opera, ma ad un occhio attento non sfugge la perfetta sincronia tra scena e musica: ogni dettaglio è curato, ogni azione non trasgredisce le regole dettate dalla composizione.
Il risultato è un’opera diversa, quasi minimale, ma che incarna perfettamente lo spirito di Violetta e la sua tragedia.
- E se Carmen fosse una prostituta nella Spagna di Franco? Si chiede questo Calixto Bieito, autore di una regia provocatoria, che porta la sigaraia di Siviglia in un mondo di soldati e politici corrotti, in cui il denaro (assente nel libretto di Bizet) fa irruzione quasi da protagonista. In questo caso la scena è stilizzata, non si hanno quasi riferimenti spazio-temporali (se non per i vestiti e per qualche bandiera spagnola); l’opera corre sul doppio binario della realtà storica e della conoscenza profonda del testo originale, per una lettura totalizzante che non conosce vie di mezzo: o la si ama, o la si odia.
- Giorgio Strehler è uno dei grandi nomi della regia teatrale; principalmente dedito alla prosa, non ha mancato di cimentarsi anche con l’Opera, mettendo in scena Le Nozze di Figaro alla Scala. La sua scena è semplice, quasi minimalista ed essenziale, ma attenta alle esigenze di libretto: se Da Ponte ambienta l’opera in un giorno, Strehler inserisce nella sua scena due finestre, dalle quali entra una luce che con l’arrivo della sera va scemando. Anche qui la connotazione temporale è assente, ma si mira a dare un messaggio universale: le vicende di Figaro e Susanna sono sempre attuali, e la stanza in cui si trovano potrebbe essere la nostra camera da letto.
- Prassi oramai consolidata nel mondo operistico è quella della rilettura dell’opera: si prende l’ambientazione originale e la si stravolge, collocando i personaggi in un luogo e in un tempo ai quali non appartengono, ma ai quali si adattano. È il caso del Rigoletto di Jonathan Miller, messo in scena nel 1982. Da Mantova si passa a Little Italy, New York, con tutto ciò che ne consegue: si uccide con le pistole, i corpi non sono nascosti in sacchi, ma nei bagagliai delle macchine. Un modo di mettere in scena rischioso, che spesso sfocia nel ridicolo se non fatto con cura ed attenzione, ma se ben riuscito è capace di aiutarci a comprendere la mentalità dei personaggi, che altrimenti ci sembrerebbero troppo lontani.
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Elena Santoni