Che cosa voglia dire interpretare è oggetto spesso di riflessioni, anche espresse sotto forma di giudizio alle esecuzioni degli interpreti. Nella storia ciò, però, si è espresso – come è logico che sia – sotto forma di problemi concreti.
Nel teatro d’opera infatti si manifestò con il problema che il messaggio arrivasse integro per davvero. Fino alla fine dell’800 era come se fosse presente un equilibrio tacito tra pubblico e compositore che portava l’opera ad affermarsi apparentemente da sola. Quando l’equilibrio fu turbato, si sentì il bisogno di trovare delle condizioni nuove che aiutassero il canale di comunicazione reso arduo da scelte che non permettevano una naturale o facile comprensione.
Verdi porta avanti l’idea dell’orchestra invisibile in una buca sprofondata, precisando che l’idea non è sua ma di Wagner. A Vienna Gustav Mahler non fu da meno, riguarda lui la citazione di seguito riportata: “in un primo tempo Mahler soleva girarsi e fulminare i reprobi con lo sguardo, mentre le lenti del suo pince-nez, mandavano lampi: in seguito fece allestire un palco apposito con funzione di gogna dove i ritardatari erano obbligati a restare seduti fino all’intervallo”.
Nell’opera italiana il primo grande riformatore fu Arturo Toscanini. La sua priorità era preservare l’unità artistica dell’opera: le distrazioni, gli stessi incoraggiamenti appassionati ai momenti salienti o di bravura ne davano una comprensione spezzettata e poco funzionale.