AIDA.
L’opera egiziana di Verdi consacrata ad essere una tra le più famose, la Regina incontrastata all’Arena di Verona per numero di rappresentazioni, l’opera conosciuta comunemente per le grandi scene di massa e corali (la famosa Marcia Trionfale), ma amata anche per i momenti più intimi e mistici nello svolgersi della vicenda.
Ma perché Verdi ebbe l’idea di scrivere un’opera così diversa, esotica, con una trama collocata in un’epoca così antica e remota? In realtà lo stimolo arrivò da una fonte inaspettata. Nel novembre del 1869 il Kedivè d’Egitto Ismail Pascià aveva finanziato la costruzione di un nuovo teatro al Cairo, e la sua inaugurazione sarebbe coincisa con i festeggiamenti per l’apertura del Canale di Suez. Grande ammiratore di Verdi, lo invitò a comporre un inno inaugurale e il compositore, fedele alle sue regole di non scrivere musica di circostanza, declinò. Dopo, quindi, aver inaugurato una stagione operistica con Rigoletto, il Kedivè sperava, per l’anno successivo, in una nuova opera ambientata nell’Antico Egitto.
Lo incoraggiava in questo August Mariette, egittologo francese, al servizio del viceré; egli aveva un alleato nell’amico Camille Du Locle, librettista ed impresario teatrale a Parigi, al quale delineò la trama che aveva in mente. Verdi la lesse, ne rimase affascinato e così firmò un contratto nel quale si impegnava a scrivere un’opera per una rappresentazione al Cairo all’inizio del 1871: fu così che nacque Aida.
Il testo venne dato al librettista italiano Antonio Ghislanzoni, per la versificazione. Dalla corrispondenza tra Verdi e il librettista rimangono delle lettere che forniscono un ampio quadro della genesi dell’opera e in particolare di quella miscela fra tradizionalismo e innovazione che dà ad Aida il suo carattere speciale.
Scriveva sul terzetto del primo atto:
Sarà meglio fare a meno dei primi versi per non far dire troppo ad Aida, e non mi piace nemmeno la minaccia di Amneris..
E ancora, sull’inno (Su del Nilo) che segue:
Amneris potrebbe prendere una spada, una bandiera o qualche altra diavoleria e indirizzare la strofa a Radames, calda, amante, guerriera.
Insomma un Verdi, come di consueto, sempre molto presente e preciso nelle indicazioni non solo metriche ma anche di scena. La musica sgorgava dalla sua penna, ispiratissimo, rimanendo nella sua villa a Sant’Agata, in provincia di Piacenza, poco distante dal suo paese natìo, Busseto.
Il tutto, però, venne ritardato dal fatto che nel luglio del 1870 la Francia dichiarò guerra alla Prussia; a novembre la capitale francese era sotto assedio e con essa tutti gli scenari e i costumi previsti per l’Aida: divenne presto evidente che la prima dell’opera al Cairo dovesse essere rimandata all’inverno successivo. Dopo una serie di vicissitudini si scelse come direttore Giovanni Bottesini e la prima finalmente ebbe luogo il 24 dicembre 1871. Verdi raggiunse un effetto sensazionale con l’utilizzo, nella Marcia trionfale, di lunghe trombe, del tipo delle trombe egiziane o delle buccine romane (“…com’erano le Trombe nei tempi antichi”), appositamente ricostruite per l’occasione, ma dotate di un unico pistoncino nascosto da un panno a forma di vessillo o gagliardetto. Il successo fu enorme e valse a Verdi il titolo di Commendatore dell’Ordine ottomano.
L’8 febbraio 1872 Aida fu alla Scala, in prima europea, direttore Franco Faccio, con Verdi che ne curò personalmente la messinscena, i costumi, la scenografia, persino la disposizione dell’orchestra. Preparò anche una sinfonia al posto del breve preludio, ma la ritirò perché non soddisfatto. Com’era prevedibile, la sera della prima fu un’occasione memorabile. I palchi erano affollatissimi, in platea il pubblico arrivò a dividersi le poltrone. Alla fine del secondo atto, quello del Trionfo, gli venne fatto omaggio di uno scettro costellato di gemme e di un rotolo di pergamena.
Insomma, un altro miracolo di Verdi che riuscì a cogliere il clima, i colori, i suoni, la “tinta” dell’Egitto rimanendo a Sant’Agata. Aida è un prodigio di equilibrio. Ma il segreto, in fondo, ce lo scrive Verdi stesso ed è molto semplice: basta saper “inventare il vero”!
E tutto questo Egitto, in effetti, ci fa sognare tuttora.
Alessandro Bugno